E dopo l’ultimo discorso all’assemblea generale delle Nazioni unite venne per Obama anche l’ultima National Medal of Arts, onorificenza da assegnare ai «24 giganti» dello spettacolo, della cultura e delle scienze umanistiche a stelle e strisce che ogni anno si aggiudicano il premio istituito nel 1984 dal Congresso.

Inevitabile il siparietto del presidente con il regista Mel Brooks, il più scoppiettante tra i premiati di questa edizione. Ma particolarmente significativo è parso, sul finire dell’era Obama, che tra i premiati ci fosse anche Berry Gordy. È l’uomo che negli anni 60 fondò, per restarne a lungo il boss assoluto, l’etichetta discografica Motown, il cui catalogo di stelle delle musica soul svolse un ruolo cruciale nel creare una musica nera capace di incontrare anche i gusti dei bianchi e di entrare nelle classifiche di vendita. Restando in campo musicale, analogo riconoscimento è andato al compositore minimalista Philip Glass. Ma anche – per far dispetto a Donald Trump – al cantante tex-mex Santiago Jimenez, Jr., legegnda della musica conjunto.

Tra gli altri, nella East Room della Casa bianca sono inoltre sfilati la stella nera di Broadway Audra McDonald, il danzatore, coreografo, scrittore e artista visuale Ralph Lemon (nero anche lui), la giornalista Isabel Wilkinson (idem). E poi lo scrittore Jack Whitten, l’attore e regista Luis Valdez, il regista e sceneggiatore Moises Kaufman, la storica Elaine Pagels. Ma non l’attore Morgan Freeman, che pur figurando tra i «24» fortunati non era presente.

«Noi crediamo che le arti e le scienze umanistiche – ha detto Obama nel corso della cerimonia – riflettano con diverse modalità la nostra anima nazionale. Sono un elemento centrale di ciò che siamo in quanto Americani: sognatori, narratori, innovatori e visionari».