Per combattere e sconfiggere l’Isis serve il massimo impegno di tutti gli alleati. Questo l’appello di Barack Obama, intervenuto ieri al summit dei Paesi del Golfo che si è tenuto in Arabia Saudita. Al suo quarto, e con ogni probabilità ultimo, viaggio a Riyadh per ricucire i rapporti con re Salman e gli altri petromonarchi – che non attendono altro che la sua uscita di scena – il presidente Usa ha ribadito l’importanza della lotta comune contro Daesh (l’Isis). Solo che ha lanciato il suo appello nel posto sbagliato, perchè è proprio dai sostanziosi conti bancari di cittadini del Golfo che è uscita una parte importante dei fondi che in questi anni hanno aiutato le formazioni jihadiste e qaediste, che combattono in Siria, Iraq e nel resto della regione, ad organizzarsi, a comprare armi e a reclutare migliaia di combattenti. I regnanti del Golfo ieri hanno annuito ma non si faranno in quattro per accontentare un presidente Usa che considerano disastroso per i loro interessi, al punto da volere un accordo sul programma nucleare iraniano che ha sdoganato e legittimato Tehran nella comunità internazionale. Salman e gli altri leader del Consiglio di Cooperazione del Golfo non muoveranno un dito per fermare il flusso di denaro generato dalle donazioni di tanti “buoni credenti” per promuovere il wahabismo e il salafismo ovunque nel mondo islamico. Obama non ha mancato di fare promesse agli “alleati” del Golfo, a partire dal controllo sulle “attività destabilizzanti” dell’Iran nella regione – come se fosse soltanto Tehran a manovrare dietro le quinte in Medio Oriente – fino alla esclusione del presidente Bashar Assad dal futuro della Siria.

Gli obiettivi del presidente americano nel Golfo stridono fortemente con il contenuto delle 28 pagine dell’inchiesta Usa su mandanti, finanziatori ed esecutori degli attacchi dell’11 settembre, rivendicati da al Qaeda, alle Torri Gemelle e al Pentagono. Pagine che potrebbero far luce sul coinvolgimento dall’Arabia Saudita nella morte di tremila americani e che le famiglie delle vittime chiedono che siano declassificate subito. La vicenda è stata al centro dei colloqui tra Obama e re Salman anche se le due parti non lo dicono. Riyadh ha minacciato di vendere 750 miliardi di dollari in investimenti, titoli e proprietà che ha negli Stati Uniti. Un contenzioso di eccezionale importanza sul quale più parti, dall’Amministrazione ai tanti amici dell’Arabia saudita nel Congresso, vorrebbero stendere un velo. Tim Roemer, un ex membro del Congresso e della commissione d’inchiesta, ieri durante un programma tv, ha affermato che l’indagine «non ha scoperto» alcun ruolo di funzionari governativi sauditi di alto livello nell’11 settembre. Tuttavia, ha poi aggiunto, è possibile che fonti saudite abbiano finanziato al Qaeda.

Proprio per questo le 28 pagine devono essere declassificate, per rivelare le fonti di sostegno e finanziamento ai dirottatori suicidi che si lanciarono contro le Torri Gemelle e il Pentagono. Sono in tanti a chiedere una spiegazione sul ritrovamento in una busta dell’ambasciata saudita a Washignton del brevetto di volo di Ghassan al Sharbi che partecipò alle lezioni di pilotaggio con Mohammed Atta e gli altri dirottatori – peraltro quasi tutti cittadini sauditi – e che poi non prese parte all’attacco (da allora è detenuto a Guantanamo). Altri due membri dei commando di al Qaeda, Nawar al Hazmi e Khalid al Midhar, furono aiutati da Omar al Bayoumi, un funzionario della compagnia aerea saudita, a trovare un alloggio a San Diego. Al Bayoumi è tornato in Arabia saudita e da allora è svanito nel nulla. Declassificare quelle 28 pagine significherebbe anche permettere alle famiglie delle vittime dell’11 settembre di chiedere a Riyadh risarcimenti per svariati miliardi di dollari.

Il viaggio di Obama in Arabia saudita è coinciso con quello di Benyamin Netanyahu a Mosca, dove il premier israeliano è andato a ridiscutere ed ampliare il coordinamento di sicurezza che Russia e Israele mantengono nei cieli della Siria. A Mosca Netanyahu ha anche ribadito quanto aveva dichiarato alcuni giorni fa sull’intenzione di Israele di conservare, per sempre, il controllo delle alture del Golan, un territorio siriano che ha occupato militarmente nel 1967. Intanto, rivelava ieri il quotidiano Haaretz, il governo francese convocherà il 30 maggio a Parigi un summit con molti ministri degli esteri nel tentativo di riavviare i negoziati tra israeliani e palestinesi, con l’obiettivo di indire nei mesi successivi una Conferenza di pace. Il presidente palestinese Abu Mazen è a favore del tentativo francese, Netanyahu invece ha espresso un profondo scetticismo.