Così, in un normale mezzogiorno di dicembre del 2014, si è scongelato uno degli ultimi fronti della guerra fredda. Lo storico annuncio congiunto di Barack Obama e Raul Castro sulla normalizzazione dei rapporti fra Cuba e Stati Uniti e la fine dell’embargo imposto da questi ultimi, ha cambiato in 15 minuti una storia lunga 52 anni ed ha il potenziale di modificare sostanzialmente la dinamica dell’intero emisfero.

L’annuncio è stato preceduto dalla notizia della liberazione di Alan Gross un cooperante di Usaid, l’agenzia umanitaria del governo Usa, da 5 anni detenuto in una prigione cubana e la concomitante liberazione di Gerardo Hernández, Antonio Guerrero e Ramón Labañino, tre cubani detenuti negli Stati Uniti con l’accusa di spionaggio. I tre erano i rimanenti componenti di «los cinco» un gruppo di 5 agenti cubani spediti a Miami per contrastare le attività terroriste di gruppi di esuli cubani fra cui quello di Luis Posada Carriles. Addestrato, finanziato e sponsorizzato dalla Cia, Carriles aveva organizzato attentati ad alberghi e locali notturni dell’Avana, tentato di assassinare Fidel Castro a Panama, organizzato forze eversive in Venezuela e messo la bomba sul volo 455 della Cubana Aviacion che nel 1976 uccise 73 persone. I processo ai cinque cubani che tentavano di porre fine alle sue attività era precedentemente stato criticato alla Nazioni unite e perfino invalidato in secondo grado da un corte di Atalanta. Due detenuti erano stati rilasciati ma tre rimanevano in un penitenziario federale.

Come si confà ad una vicenda da guerra fredda, quello di ieri è stato insomma uno scambio di prigionieri in piena regola, tantopiù che nell’accordo è rientrata anche una talpa della Cia detenuta dai Cubani da vent’anni come ha confermato lo stesso Obama. Ma sono solo i dettagli “operativi” di uno sviluppo di portata davvero storica che modifica radicalmente un rapporto calcificato sin dai tempi dell’incursione Americana nella Baia dei Porci. L’annuncio a sorpresa è giunto al termine di un lungo negoziato che dietro le quinte è durato mesi se non anni e con cui Obama mantiene la promessa di distensione fatta sei anni fa all’epoca nella sua prima campagna elettorale. Dopo l’azione sull’immigrazione, per il presidente «anatra zoppa» si tratta anche di una nuova indicazione della volontà di agire per decreto che farà certamente infuriare i repubblicani.

«In 50 anni – ha detto il presidente – è lo sviluppo più significativo alla politica fallita che non ha saputo promuovere i nostri interessi. È ora ormai di aprire un nuovo capitolo nella storia delle Americhe». Obama, nato «pochi mesi dopo l’operazione fallita nella Baia dei Porci», ha dichiarato che «è ora di superare un rapporto nato sullo sfondo della guerra fredda e che per mezzo secolo non ha saputo evolvere». Rivolto al popolo cubano Obama ha citato Josè Marti: «La libertà è il diritto di essere onesti. Io oggi sono onesto con voi. Rimaniamo convinti che abbiate il diritto a vivere liberamente».

«Todos somos Americanos», ha aggiunto Obama in spagnolo. «Cambiare non è facile, tantomeno quando sulle nostre spalle grava il peso della storia. Oggi però scegliamo di scrollarci di dosso quelle catene per il bene di entrambi i nostri popoli». Obama ha chiesto al segretario di Stato John Kerry di riaprire l’ambasciata Usa all’Avana, chiusa dal gennaio 1961. «Le rigide sanzioni imposte allora – ha concluso il presidente Usa, il primo a parlare al telefono con un Castro dai tempi di John Kennedy – non servono gli interessi nostri né di Cuba in un mondo dove dopotutto l’America ha saputo stabilire rapporti positivi con la Cina e perfino col Vietnam».

Prevedibile ed immediate la reazione degli esuli di Miami, la minuscola fazione oltranzista che da decenni tiene in ostaggio la politica cubana Americana dalla roccaforte elettorale strategica della Florida. Marco Rubio, “promessa cubana” della destra reazionaria repubblicana in odore di candidatura presidenziale, ha attaccato ferocemente l’annuncio definendolo «una concessione unilaterale alla tirannia». «Queste misure – ha aggiunto – impongono un gigantesco passo indietro alla lotta per l’emancipazione del popolo cubano».