Lasciata Roma, Barack Obama è volato verso l’Arabia saudita, storica alleata delle politiche americane in Medio Oriente. Ieri sera ha subito incontrato re Abdallah per il faccia a faccia di cui si scrive e si parla da settimane. Al presidente Usa non è stata riservata la calorosa, a dir poco, accoglienza del 2009, quando i Saud gli tributarono onori paragonabili solo a quelli concessi ai Bush, padre e figlio, amici di famiglia e partner in affari. Poi giunsero le “primavere arabe” i Saud osservarono sgomenti il benservito dato da Obama al dittatore tunisino Zine el Abidine Ben Ali e al suo collega egiziano Hosni Mubarak. Un passo che, di fatto, aprì la strada all’ascesa degli odiati Fratelli Musulmani a Tunisi, al Cairo e poi in tutta la regione. Re Abdallah e il resto della famiglia reale, interpretarono (non a torto) la politica del presidente americano come l’inizio di un’alleanza inedita tra gli Usa e l’Islam politico, la Fratellanza, a danno del wahabismo (parente stretto del salafismo più rigido), sponsorizzato da sempre dalla monarchia saudita. Non sorprende la felicità espressa dai Saud quando i militari egiziani lo scorso luglio hanno spazzato via nel sangue le vittorie elettorali della Fratellanza e deposto (e arrestato) il presidente Mohammed Morsi. Una riscossa contro la Confraternita – che da sempre contesta la legittimità del ruolo che i sauditi si sono attribuiti all’interno dell’Islam – culminata qualche settimana fa con il ritiro dell’ambasciatore saudita (e di quelli del Bahrain e degli Emirati) dal Qatar, lo sponsor principale dei Fratelli musulmani.

Stati Uniti e Arabia saudita erano e restano strettamente legati. Riyadh sa che non può rinunciare all’alleanza con Washington. Tuttavia manifesta continua insoddisfazione per la linea del presidente americano, “colpevole” di non aver scelto la guerra contro il “nemico sciita” Iran e di aver avallato l’accordo internazionale sul programma nucleare di Tehran. Non solo, Obama, secondo i sauditi, ha mancato lo scorso settembre l’occasione giusta per attaccare la Siria, alleata dell’Iran, e di provocare (forse) la caduta del presidente siriano Bashar Assad. I Saud hanno clamorosamente espresso la loro insoddisfazione per l’atteggiamento Usa rifiutando lo scorso autunno un seggio come membro non permanente al Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

Obama intende riaffermare l’impegno degli Usa per rovesciare Assad. Anche perchè a inizio settimana, durante il summit arabo in Kuwait, per bocca del principe ereditario Salman, i Saud ha nuovamente accusato la comunità internazionale di avere “tradito” i ribelli siriani e chiesto di “cambiare gli equilibri sul terreno”. Parole rivolte agli Stati Uniti contrari, almeno in apparenza, a fornire armi sofisticate alle forze che combattono contro Damasco, sapendo che finiranno nelle mani di gruppi jihadisti e qaedisti. Obama prometterà l’invio di altre armi all’opposizione siriana, anche se non tutte quelle che vorrebbe Riyadh. Proverà inoltre a far digerire a re Abdallah i negoziati in corso tra i Paesi del 5+1 e l’Iran e il riavvicinamento tra Washington e Tehran che fa infuriare i sauditi come gli israeliani. E non mancherà di rassicurare che il desiderio di autosufficienza energetica degli Stati Uniti non si realizzerà a discapito delle esportazioni petrolifere dell’Arabia saudita che, peraltro, ricambia acquistando ogni anno armi americane per miliardi di dollari.

Sorrisi, strette di mano e rinnovati proclami di alleanza e fratellanza, concluderanno il viaggio di Obama ma i sauditi ormai non aspettano altro che un nuovo presidente Usa. Non mancando di stringere i rapporti con potenze regionali e asiatiche che guardano con irritazione alla crescita dell’influenza dell’Iran. I governanti sauditi considerano il Pakistan, in possesso della bomba atomica, come una delle potenze del cosiddetto “Grande Medio Oriente”, insieme con Israele e Turchia. Riyadh perciò ha investito molto in Pakistan dove ha esportato gli insegnamenti wahabiti alimentando l’estremismo religioso e l’aggressività dei sunniti radicali contro la minoranza sciita. Ha finanziato, secondo la stampa internazionale, la cosiddetta “bomba atomica sunnita” del Pakistan non per il confronto con l’India ma per il contenimento dell’Iran. In caso di una “minaccia esistenziale”, il Pakistan offre ai Saud l’appoggio strategico contro l’Iran che Barack Obama, almeno per ora, esita a garantire.