Correva l’anno 1928 quando il presidente Usa Calvin Coolidge sbarcò all’Avana da una corazzata – la USS Texas – e solo per partecipare a un evento internazionale in un’isola che era di fatto un protettorato degli Stati Uniti. E a sua volta, il presidente fu quasi ignorato, se non osteggiato, dai cubani. Oggi, quando Barack Obama sbarcherà a Cuba, accompagnato dalla First family, la moglie Michelle e le figlie Malia e Sasha, sarà dunque il primo presidente statunitense in carica a compiere una visita ufficiale nell’isola.

L’unica corazzata sarà «la Bestia», la limousine presidenziale blindata trasportata all’Avana da un aereo C-17 Globemaster III, e che già i giovani dell’Avana attendono di vedere transitare lungo il malecón scortata dal servizio di sicurezza. «Sarà come un film o un serial di quelli che siamo abituati a vedere alla tv», dice Juan, studente del Pre(universitario).

E la storia avrà veramente voltato pagina. Per la prima volta un capo della Casa bianca metterà piede nel «cortile di casa» caraibico senza dettare condizioni; non sull’onda della potenza dell’impero – militare, economico e culturale – che rappresenta ma, al contrario, ammettendo che la politica aggressiva adottata dal suo paese dopo la rivoluzione castrista del 1959 «è stata un fallimento». Accadrà quello che solo qualche anno fa nessuno avrebbe immaginato. Obama all’Avana stringerà la mano a un Castro, senza pretendere che abiuri dalle sue convinzioni socialiste, anzi dicutendo col presidente cubano «su un piano di parità» di come mettere definitivamente fine a una guerra fredda che dura da più di cinquant’anni, come pure della situazione dell’America latina- dove il disaccordo sul Venezuela è palese – e renderà omaggio a José Martí, l’«Apostolo» dell’indipendenza cubana, in un luogo altamente simbolico come la Plaza de la Revolución, testimone dei grandi raduni di massa e dei discorsi fiume di Fidel Castro.

«Obama sarà ricevuto con il senso di ospitalità e di rispetto che contraddistingue i cubani», ha affermato giovedì il ministro degli esteri Bruno Rodríguez, ma mettendo in chiaro che il governo cubano non «rinunzierà a uno solo dei propri principi» e «non negozierà in nessun modo in relazione a cambi di politica interna». In realtà, il governo cubano ha ben chiaro che si tratta di un passo storico e dunque ha fatto al capo della Casa bianca concessioni mai permesse ad altri capi di Stato. Obama – che sarà accompagnato da una folta delegazione di congressisti, imprenditori ed esponenti della comunità cubano americana – non solo incontrerà una delegazione di cuentapropistas, di imprenditori privati cubani, ma anche «una diecina» di rappresenti dei piccoli – e divisi – gruppi del dissenso/opposizione che il governo considera nemici «al soldo di una potenza straniera» e che dunque tratta con mano dura (nei primi mesi di quest’anno sono stati denunciati più di 1500 fermi da parte dei difensori dei diritti dell’uomo). Ma il messaggio più forte Obama lo manderà direttamente al popolo cubano durante il discorso che pronuncerà al Teatro «Alicia Alonso», ex Gran Teatro dell’Avana, di fronte ad un pubblico di un migliaio di persone ( alcune invitate direttamente dagli Stati Uniti ) e che, fatto del tutto inusuale, sarà trasmesso in diretta tv in tutto il paese. In modo che «ognuno (a Cuba) possa formarsi una propria opinione su quello che (Obama) dirà», ha affermato il cancelliere Rodríguez.

Il consigliere di Obama per le questioni cubane, Ben Rhodes, ha fatto sapere che « il presidente affronterà la questione dei diritti umani e delle libertà civili». Prendendo le distanze dalla passata politica del regime change, il presidente dirà «molto chiaramente che spetta al popolo cubano» spingere verso una maggiore democrazia nel paese. E che gli Stati Uniti, da parte loro, intendono portare avanti una «politica concentrata nell’aiutare il popolo cubano ad ottenere più potere e un futuro migliore» avendo «grande fiducia nel fatto che avranno la capacità di farlo». «Se vogliono veramente aiutare il popolo cubano a migliare, che mettano finalmente fine all’embargo», ha ribattuto laconico il ministro Rodríguez.

Sia per Obama che per il governo cubano si tratta dunque di una missione assai delicata. Per questa ragione il presidente americano ha scelto, oggi pomeriggio, di iniziare la sua visita in punta di piedi, con una passeggiata nell’Avana storica (Havana Vieja) per recarsi nella cattedrale ed incontrare il cardinale Jaime Ortega, che ha avuto un ruolo chiave nel facilitare i negoziati segreti andati avanti per mesi con l’appoggio di papa Francesco che hanno portato alla storica svolta tra Cuba e Stati Uniti e alla ripresa delle relazioni di diplomatiche.

Domani mattina inizierà l’agenda vera e propria della visita di Obama, la cui valenza storica emerge dal programma, a cominciare dal nome del palazzo, il Palacio de la Revolución, dove si svolgerà l’incontro con il presidente Raúl Castro, il quale in serata offrirà una cena di stato per la First family americana. Non vi sarà però, ha ribadito la Casa Bianca, nessun incontro con Fidel Castro, il lider maximo della rivoluzione per decenni il nemico comunista dell’America, che nel 2008, malato, ha lasciato la presidenza al fratello.

Nel pomeriggio l’incontro con cooperativisti e imprenditori cubani, compresi quelli del settore privato che, nelle speranze degli Usa dovrebbero portare a formare una classe media e dunque a rivendicare future riforme politiche. A parte un futuro ruolo di fattore di stabilizzazione del sucontinente, Cuba è anche il crocevia degli investimenti: nell’isola stanno arrivando capitali brasiliani, cinesi, europei e presto statunitensi. Qualcuno negli Stati uniti già immagina l’isola come un futuro hub per diplomazia e affari. Infine, martedì vi sarà il colloquio con i dissidenti/oppositori e l’incontro con il popolo dell’Avana nel Teatro; poi la visita si concluderà con l’incontro di baseball tra una selezione cubana e la squadra della Major League, Tampa Bay Rays.