Le immagini del concerto di Knebworth degli Oasis, nell’agosto del 1996, aprono e chiudono Oasis: Supersonic, il documentario musicale di Mat Whitecross (nelle sale italiane dal 7 al 9 novembre) che prova a raccontare la storia circoscrivendo solo un determinato periodo e il contorno di una band che ha saputo incarnare l’ultima epopea memorabile del British rock.

Protagonisti ironici e sfrontati, i due fratelli Gallagher, Noel il cantautore e Liam, il frontman, sono anche i produttori esecutivi della pellicola e hanno potuto attingere a una grande quantità di spezzoni televisivi, filmini amatoriali (clamoroso quello al King Tut girato da un turista giapponese, i primi passi del gruppo indie proveniente dalle case popolari di Manchester) e familiari di amici e compagni, montati con sapienza insieme a frammenti di interviste, fatte apposta per il film.

Le voci originali, col loro sporco accento mancuniano, scandiscono le stagioni iniziali che li vedono passare, in breve tempo, dalle cantine agli studi di registrazione, dall’essere nessuno alle arene e ai tour, confermando da subito che il gruppo è cresciuto e si è formato sui live gig, sulle spettacolari esibizioni dal vivo con Liam, il bello, il più giovane, il più alto, il più cool, mani dietro la schiena e testa inclinata verso il microfono, gran taglio di capelli e occhi azzurri mentre Noel il riflessivo, il solitario, il musicista totale, fa testimoniare gli amici su alcuni episodi leggendari (durante una session di registrazione, arriva il pranzo e lui esce sul retro con la chitarra e compone una canzone nel tempo in cui i sei della band imparano a mangiare cibo cinese).

Dalle litigate inevitabili al flop del concerto del Whisky a gogo di Hollywood per eccessivo consumo di metamfetamine, dagli incontri coi fan nei negozi alle partite dell’amato Manchester City, si snodano le tappe della carriera dei due fratelli/rivali che volevano solo sconvolgere l’anima e far diventare matto il pubblico, con canzoni creative e appassionanti, davvero l’ultimo sussulto di una rock culture basata sull’acquisto di dischi e i concerti dal vivo. Non mancano le battute, la carica di entusiasmo e la superba musica melodica degli Oasis, da Morning glory a Wonderwall, da Some Might Say a Don’t look back in anger (oltre 75 milioni di dischi venduti per la band sciolta definitivamente nel 2009 che ha pubblicato in tutto undici album) che si ritraggono come ragazzi talentuosi che volevano semplicemente occuparsi di musica, calcio, droga e belle ragazze ritrovandosi in un tornado di tabloid, giornalisti, affaristi e crolli nervosi.

Così l’apoteosi è Knebworth con un pubblico di 250 milapersone sul prato – e altri 2 milioni e mezzo di persone alla ricerca di biglietti -, probabilmente il momento magico di una band che ha cambiato il suono di una generazione, scrivendo a tutti gli effetti una pagina memorabile di storia della musica, l’ultima prima della rivoluzione digitale e di inter net.