Sembra un secolo da quando, il 17 giugno del 1994, l’America è stata elettrizzata live da O.J. Simpson a bordo di una Jeep Bronco bianca inseguito dalla polizia e dagli elicotteri delle tv tra le freeway losangeline. Già ribattezzato An American Tragedy in una serie CBS del 2000, il suo processo per l’omicidio della moglie Nicole e di Ron Goldman, una delle prime vere maratone giudiziarie in tv, è tornato in cima ai ratings sotto forma di fiction l’anno scorso grazie a Ryan Murphy, con The People v O.J. Simpson: American Crime Story, e l’arco della sua storia ancorava la magnifica riflessione sulla razza in America dell’Oscar per il documentario di quest’anno, OJ: Made in America.
Giovedì, in simultanea su tutti i canali all news e sulla rete sportiva ESPN, una commissione per la scarcerazione del Nevada ha segnato un nuovo capitolo nell’infinita saga di OJ autorizzandone il rilascio sulla parola dopo nove dei trentatre anni di carcere a cui era stato condannato. Non per omicidio, ma per una rapina a mano armata in cui aver cercato di rubare, dalla camera d’hotel di un conoscente, del merchandising ispirato alla sua carriera sportiva. In sua difesa, l’ex campione aveva detto di aver cercato di rientrare in possesso di cose un tempo sue perché aveva bisogno di soldi.

Dopo aver scontato circa un quarto della pena, OJ potrebbe essere libero già ad ottobre, a settant’anni. La notizia ha riacceso le polemiche che hanno accompagnato e ingarbugliato questo caso da sempre, con punte di indignazione e (in quantità minore) di esultanza. Quello di OJ, è stato un caso scomodo fin dall’inizio, viziato da rimossi – una black celebrity accusata di aver ucciso una donna e un uomo bianchi, in un «processo del secolo» in cui emersero ogni sorta di scorrettezze da parte della polizia (a partire da tutte quando chiudevano un occhio sul fatto che lui picchiava Nicole).
La sua assoluzione dalle accuse di omicidio (evocata in modo minore da quella di Bill Cosby, solo qualche settimana fa) aveva messo in luce una polarizzazione razziale che molti credevano superata – grazie anche a succes story come quelle di OJ. La causa civile sporta dalle famiglie di Nicole Simpson e Ron Goldman era finita diversamente – 33.5 milioni di dollari in danni per OJ. Dichiarando di essere ridotto in quasi-miseria dalle spese processuali e dalla fuga degli sponsor, OJ si era «ritirato» dalla California in Florida, senza sostanzialmente sborsare un soldo.

Difficile non cogliere l’eco tra quei 33.5 milioni e i trentatre anni delle condanna per rapina, una pena spropositata per l’imputazione, e che per un uomo di 61 anni è praticamente un ergastolo. È quello che qui chiamano payback, non giustizia.
Giustizia è quella che –non importa quello che pensassero di The Juice – hanno esercitato i membri del parole board giovedì, autorizzando la libertà condizionata per buona condotta. L’uomo che stava loro di fronte –e che ha giaà rilasciato dichiarazioni assurde tipo «ho vissuto una vita senza conflitti» e «non sono mai stato accusato di impugnare una pistola» – non era in carcere per omicidio.
Comunque la si guardi, la storia di OJ continua e essere indigeribile e ingiusta –una deformazione grottesca del rapporto malato che esiste tra il sistema giudiziario Usa e la popolazione afroamericana. Poco dopo la notizia dell’imminente rilascio, Variety ha dedicato un intero pezzo a chi si aggiudicherà la prima intervista.

giuliadagnolovallan@gmail.com