Dal testo del disegno di legge di revisione costituzionale approvato dalla camera dei deputati e in discussione al senato risultano violati sia il principio della sovranità popolare sia il principio di eguaglianza, entrambi qualificati «supremi» dalla Corte costituzionale. Il principio della sovranità popolare verrebbe violato negandosi il suffragio popolare diretto nelle elezioni del senato. Una violazione tanto più grave in quanto al senato verrebbe confermata la spettanza della funzione legislativa e della funzione di revisione costituzionale, le quali si pongono all’apice dell’esercizio della sovranità dello stato.

Non intendo con ciò spendere argomenti in favore del bicameralismo, anche se al riguardo sono state espresse critiche ingiustificate. Mi limito però a sottolineare con decisione che l’attribuzione delle funzioni legislativa e di revisione costituzionale ad un organo non eletto dal popolo costituirebbe un vero e proprio vulnus dal punto di vista costituzionalistico e dei principi democratici.

Né può sostenersi, come pure è stato fatto, che anche i Länder tedeschi esercitano la potestà legislativa «pur essendo nominati di secondo livello». Il che è inesatto dato che in Germania non c’è nessuna nomina di secondo livello. I Länder, eletti dal popolo, sono titolari, nell’ambito del Bundesrat, di diritti «propri», che vengono esercitati dai rispettivi governi dei Länder, i quali, anche nell’esercizio della funzione legislativa e di revisione costituzionale, hanno a disposizione, a seconda dell’estensione e della popolazione del Land, da un minimo di tre ad un massimo di sei voti per ogni deliberazione.

Affermare che i Länder, nell’esercizio della funzione legislativa e di revisione costituzionale, sarebbero organi di secondo livello è come dire che anche il presidente della Repubblica italiana sarebbe «indirettamente» eletto dal popolo per il tramite delle camere e dei rappresentanti delle regioni. Il che fu esaurientemente contestato da Leopoldo Elia, il quale fece presente come l’uso dell’avverbio «indirettamente» sia corretto solo in riferimento alle elezioni di secondo grado. Il che si verifica quando i grandi elettori, eletti dal popolo, scelgono i senatori in Francia o scelgono il presidente della Repubblica negli Stati uniti. Sostenere che, in un eventuale futuro, i cittadini italiani, per il tramite dei consigli regionali e dei consigli delle province autonome di Trento e Bolzano eleggerebbero «indirettamente» il senato è quindi soltanto una finzione assolutamente fuorviante.

Non può allora essere condiviso né il testo dell’articolo 57 approvato dalla camera dei deputati (che presuppone che i senatori sarebbero eletti dalle «istituzioni territoriali»), né il testo dell’articolo 57 approvato dal senato (che consentirebbe bensì l’elezione popolare dei senatori, ma nell’ambito «degli organi delle istituzionali territoriali nei quali sono stati eletti»). Per rispettare il principio del suffragio popolare diretto dovrebbero quindi essere profondamente modificati non solo l’attuale art. 57 ma anche gli attuali artt. 63 e 66, i quali prevedono il contemporaneo svolgimento, da parte dei senatori, delle funzioni di sindaco e di consigliere regionale o provinciale. Contemporaneo svolgimento che, essendo patentemente irrazionale – non potendosi esercitare altrettanto bene entrambi gli incarichi – contrasta con l’art. 3 della Costituzione che, nel proclamare il principio supremo di eguaglianza, garantisce implicitamente, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, anche quel principio di razionalità che, come insegnatoci da Max Weber, è alla base di tutti gli ordinamenti moderni quale che sia l’enunciato per il tramite del quale esso viene espresso.

Ripeto, non intendo sostenere la tesi del bicameralismo perfetto. Ma prevedere che il parlamento sia composto: da un lato, da un senato di 100 senatori – di cui cinque in discutibilissima rappresentanza del presidente della Repubblica, del quale avrebbero la stessa durata – e 95 consiglieri e sindaci part time; e, dall’altro, da una camera che continuerebbe ad essere composta da 630 deputati, induce a ritenere che sia una lustra, uno specchietto per le allodole, sostenere che il senato possa svolgere un ruolo rilevante nelle riunioni del parlamento in seduta comune per le elezioni del presidente della Repubblica, dei giudici costituzionali e dei componenti laici del Csm.

Il che conferma la carenza di contropoteri nella forma di governo prevista nel d.d.l. costituzionale Renzi-Boschi sia nei rapporti camera-senato sia allo stesso interno della camera. Conferma quella carenza di contropoteri che il presidente Napolitano lamentò con riferimento al regime semipresidenziale francese nell’indimenticabile discorso per la celebrazione del 60° anniversario della Costituzione, nel quale egli auspicò, per la Francia, il riequilibrio delle opposizioni, il rafforzamento del ruolo del parlamento e il riconoscimento del ruolo dell’opposizione.

Sotto il profilo della carenza di contropoteri è infatti significativa la reiezione, da parte di entrambe le camere degli emendamenti Pd e M5S, intesi ad inserire in Costituzione la possibilità per la minoranza di far istituire, a sua semplice richiesta, commissioni parlamentari d’inchiesta, sulla falsariga di quanto previsto in Germania sin dalla Costituzione di Weimar. Ed ancor più significativo della carenza di contropoteri è l’art. 64, il quale rinvia ai regolamenti parlamentari – cioè ai parlamentari del primo partito votato, grazie alla legge elettorale denominata Italicum – di specificare quali potranno essere le garanzie dei diritti delle minoranze.

L’articolo è un estratto dell’intervento in commissione affari costituzionali al senato