Non si arresta l’ondata di sbarchi verso le coste siciliane, nonostante le tragedie come quella di sabato scorso a Catania costata la vita a sei migranti. Proprio la zona sud orientale dell’isola sembra essere diventata la meta privilegiata dalle nuove rotte di trafficanti. L’ultimo barcone con 163 persone, tutti sedicenti siriani ed egiziani, è approdato ieri mattina a Portopalo di Capo Passero, l’estremo lembo meridionale della Sicilia. Gli immigrati, tra i quali 66 minori e 45 donne, dopo essere stati soccorsi da una motovedetta della Guardia di finanza sono stati trasferiti nell’ex mercato ittico dove hanno ricevuto la prima assistenza. Ma il sindaco di Portopalo, Michele Taccone, lancia l’allarme sulle condizioni igienico sanitarie in cui sono costretti a operare forze dell’ordine e protezione civile: «Non abbiamo strutture idonee per l’accoglienza – spiega – ed il susseguirsi degli sbarchi sulle nostre coste ci ha portato al collasso». A dargli man forte interviene anche il sindaco di Siracusa, Giancarlo Garozzo, che dopo avere partecipato a un vertice convocato in Prefettura sull’emergenza immigrazione ha scritto al premier Enrico Letta sollecitando l’adozione di «strumenti efficaci, di natura eccezionale e straordinaria». Nella nota il sindaco sottolinea la «mancanza di strumenti finanziari, strutturali e logistici» per affrontare il flusso degli arrivi, quantificati in 5 mila dall’inizio dell’anno. E ricorda a Letta la vicenda dei 103 profughi rifiutati da Malta e accolti a Siracusa: «Ho avuto modo di ringraziarla per le belle espressioni rivolte alla nostra amministrazione. Oggi purtroppo le belle parole non bastano più. In questa nostra città si sta vivendo una pericolosa emergenza di ordine pubblico, sanitario e sociale che denota una crisi di livello perlomeno nazionale». Intanto a Catania, dove il sindaco Enzo Bianco ha proclamato per domani il lutto cittadino, si registra una polemica con l’Arci, che lamenta di non potere assistere i superstiti del tragico sbarco di sabato scorso. «Sono circa una novantina i siriani – sostiene il responsabile immigrazione, Filippo Miraglia – ancora accolti nella struttura messa a disposizione dalla prefettura. Sono impauriti, diffidenti, non vogliono farsi identificare perché non si fidano della polizia. Noi operatori eravamo riusciti a convincerli a fare domanda d’asilo. Ora è urgente che ci si lasci entrare per completare l’opera di accoglienza». Ma se Sud si fanno i conti con l’emergenza legata agli sbarchi, al Nord le cose non vanno meglio. A Gradisca d’Isonzo un giovane immigrato è rimasto gravemente ferito dopo aver tentato la fuga dal Cie locale. Soccorso, è stato portato all’ospedale di Cattinara a Trieste. Con lui è rimasto ferito, in modo più lieve, anche un altro immigrato. L’ex caserma «Ugo Polonio» di Gradisca, trasformata nel 2006 in centro di permanenza temporanea e quindi in centro di identificazione ed espulsione, è al centro di contestazioni da parte di chi vi entra, di chi è contrario alla normativa sull’immigrazione ma anche delle istituzioni locali e regionali. Il progetto, previsto dalla legge Bossi-Fini, venne prima negato poi ammesso nel 2003 da parte dell’allora ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, contro il quale l’ex presidente del Friuli Venezia Giulia, Riccardo Illy, innescò una dura polemica, chiedendo fino all’ultimo che la struttura non venisse realizzata. Fatto sta che all’interno dell’ex caserma fu realizzato un centro circondato da un muro di cemento armato alto oltre tre metri, con recinzioni e fili spinati e due cancelli d’ingresso. Con il ritorno del centrosinistra alla guida della Regione la chiusura del Cie è tornata di attualità, con prese di posizione molto dure da parte della presidente, Debora Serracchiani. L’assessore regionale al lavoro, Loredana Panariti, al termine di una visita avvenuta all’inizio di agosto, aveva definito la struttura «simile agli ospedali psichiatrici pre-Basaglia».