Tornano a scuola, dopo quasi due anni, più di 600 mila studenti delle scuole medie superiori . I principali aereoporti riaprono al turismo eliminando la quarantena obbligatoria. La curva di contagio del Covid si abbassa grazie alla vaccinazione – con tre cicli dei sieri nazionali Abdala e Soberana 02 – del 75% della popolazione (entro la fine dell’anno si prevede che sia vaccinata la quasi totalità della popolazione atta a ricevere il siero). Sono più di trecento le nuove micro, piccole e medie industrie (Mpymes) in gran parte formate con capitale privato. Una Fiera virtuale presenterà nuove opportunità per gli investitori stranieri in base alla nuova legge sugli investimenti esteri.

È L’INIZIO di «una nuova normalità per Cuba» dopo quasi due anni di pandemia. Inizio di cui l’isola ha estremo bisogno. Cuba, infatti, vive la peggiore crisi economica degli ultimi 30 anni. Secondo il ministro dell’Economia Alejandro Gil tra il 2020 e il settembre di quest’anno si è registrata una caduta del 13% del Pil. Rispetto al passato, il paese è meno prospero economicamente, più dipendente da condizioni esterne, con meno capacità produttiva, con importanti estensioni di terra incolte, varie industrie, compresa quello dello zucchero, in crisi cronica.

Anche i punti di forza storici del sistema socialista, l’educazione e la salute, risentono della crisi, con scarsa produzione di libri, scarsezza relativa di professori e di accesso ad internet la prima, mancanza di medicine e impianti tecnici, deterioramento di molti ospedali, la seconda.

In questo periodo gli Stati uniti hanno attuato politiche di ingerenza dirette a «cambiare il governo» socialista dell’isola mediante azioni di destabilizzazione e imponendo sanzioni che, seppur «dirette contro il governo» hanno colpito principalmente la popolazione. Politiche che sono state portate al limite dall’Amministrazione Trump e che il presidente Biden continua, visto che negli ultimi giorni ha minacciato addirittura nuove sanzioni – appoggiate dal Congresso – se sarà repressa la manifestazione «per un cambio pacifico» che la piattaforma Arcipelago ha indetto per il 15 novembre.

QUESTA SITUAZIONE di aggressione da parte del potente vicino del Nord ha rafforzato la tesi del vertice politico cubano – partito comunista e governo -, quella di «un paese assediato», come argomento per spiegare la grave situazione economica e la difficoltà di attuare «la modernizzazione del sistema socialista» annunciata nel 2011 dall’allora presidente Raúl Castro.

Una tesi quest’ultima che, secondo alcuni economisti – tra gli altri Oscar Everleny, Juan Triana Cordovì, all’interno dell’isola e De Miranda e Mesa Lago all’estero – evita di assumere la responsabilità di errori commessi in materia di politica economica. Come la riforma economico-monetaria (Tarea Ordenamiento) varata all’inizio dell’anno che, a detta di Marino Murillo, il responsabile della sua attuazione, ha prodotto un’inflazione del 6.900% dei prezzi al minuto. Si tratta di un aumento dei prezzi di beni e servizi causato non solo da fattori monetari (sopravvalutazione del peso cubano) ma soprattutto dalla grande scarsezza di beni. Ossia da problemi strutturali preesistenti alla riforma monetaria.

SECONDO MURILLO, il paese è in una pericolosa spirale: i prezzi salgono per mancanza di prodotti di prima necessità, ma il pase non ha, a causa della crisi e della pandemia che ha bloccato il turismo e richiesto investimenti massicci per proteggere la popolazione, i fondi né per riformare il sistema produttivo né per comprarli all’estero. Da qui l’importanza strategica di riaprire al turismo e agli investimenti esteri come fattori trainanti di una ripresa.

Le conseguenze sociali di questa crisi sono sotto gli occhi di tutti quelli che vivono nell’isola: i salari, seppur aumentati dalla Tarea ordenamiento (che prevedeva un’inflazione di circa un terzo di quella attuale), non riescono a garantire a buona parte della popolazione di arrivare alla fine del mese. La scarsezza di beni, specie alimentari (anche nei negozi dove si vende in Moneda libremente convertible, ovvero in dollari), obbliga a code infinite. La speculazione sembra fuori controllo come l’inflazione. Il malcontento della popolazione è evidente e, nelle giovani generazioni, aperto e generalizzato.

Rispetto agli anni passati, queste voci di malcontento e anche di dissenso e aperta opposizione si diffondono e vengono alimentate nelle reti sociali dove le centrali anticastriste, a Miami e Madrid e negli ultimi anni anche a Buenos Aires, vantano un netto predominio. Grazie ovviamente ai milioni di dollari che ricevono da ong, istituti e fondazioni più o meno direttamente legate al dipartimento di Stato o alla Cia.

PER MOLTI GIOVANI CUBANI le reti sociali sono l’unico contatto con la realtà. In un paese in crisi e marcato dalla mancanza di opportunità nonostante la elevata proporzione di laureati e tecnici, l’attivismo politico rischia di diventare l’unica forma di controllo dei giovani sul loro futuro. La società si polarizza come mai in precedenza. Le manifestazioni avvenute in molte località dell’isola lo scorso 11 luglio ne sono una prova.

Negli Stati uniti, non solo le tradizionali forze anticastriste della Florida e di gran parte del Partito repubblicano – in via di fascistizzazione secondo vari analisti- ma anche settori dei democratici e del dipartimento di Stato ritengono che l’embargo unilaterale stia raccogliendo i frutti seminati in sessant’anni di sanzioni. L’acutizzarsi della crisi a Cuba provoca malcontento, nel malcontento vengono prodotti e reclutati gli attivisti del dissenso. In fondo questo era lo scopo dell’embargo fin dai tempi (1960) del presidente Eisenhower: produrre fame e malcontento per causare una ribellione contro il regime socialista.

NEI GIORNI SCORSI, Jack Sullivan, consigliere della Sicurezza nazionale, ha affermato che le manifestazioni dell’11 luglio a Cuba hanno «mutato le circostanze» e giustificano la scelta del presidente Biden di linea dura contro il governo dell’isola in contraddizione con quanto aveva affermato durante la sua campagna presidenziale.

In questo quadro, secondo l’analista Harold Cardenas, «il futuro del governo cubano dipende dalla sua capacità di ricostruire il consenso nazionale» attorno a riforme socialiste.