Carles Puigdemont non si rassegna. Nonostante la fulminea applicazione dell’articolo 155 che lo esautora dalle funzioni di presidente della Generalitat, l’ormai ex capo dell’esecutivo catalano vuole restare in sella e dare un’immagine di continuità e normalità che fa a pugni con l’eccezionalità della situazione. La procura generale dello stato, infatti, già prepara l’imputazione per ribellione, e il Tribunale costituzionale sta lavorando per annullare la dichiarazione di indipendenza; ma Puigdemont è deciso ad alzare la posta e portare fino alle estreme conseguenze la sfida con Madrid. Tanto che è apparso in un video registrato e ritrasmesso ieri mattina dalla televisione regionale TV-3 per chiamare il popolo indipendentista ad una resistenza pacifica alla linea dura di Madrid. «Dobbiamo avere pazienza, perseveranza e lungimiranza – ha dichiarato l’ex president – Non c’è dubbio che la migliore maniera per difendere le conquiste ottenute fino ad oggi sia l’opposizione democratica al 155, che è la perpetrazione di un’aggressione premeditata alla volontà dei catalani, la cui maggioranza sente di far parte di una nazione europea a parte».

PUIGDEMONT non ha specificato come intende tamponare l’iniziativa di Rajoy, ma ha aggiunto un appello alla calma. Il clima, d’altronde, è molto teso e nei prossimi giorni potrebbe diventare addirittura esplosivo, soprattutto se Puigdemont e i suoi ministri verranno arrestati. «Dobbiamo respingere l’oppressione e le minacce – ha proseguito il presidente ammutinato – ricorrendo ad un atteggiamento civile e pacifico. Non abbiamo né vogliamo avere la ragione della forza. Non noi, almeno. Ve lo chiedo sapendo che è quello che si aspetta da noi tutto il mondo», ha concluso Puigdemont, che sa bene che sugli umori della piazza, sulle reazioni del popolo secessionista e sull’opinione pubblica internazionale si gioca gli ultimi scampoli della partita.

IL GOVERNO DI MADRID non ha commentato le dichiarazioni dell’ex presidente catalano, lasciando parlare in sua vece la gazzetta ufficiale dello stato, sui cui ieri sono stati pubblicati i decreti che rendono effettiva l’applicazione del 155. Alle misure annunciate venerdì sera (la destituzione di Puigdemont, di tutti i ministri della Generalitat e delle sue rappresentanze all’estero) si aggiunge la rimozione del capo dei Mossos d’Esquadra Josep Lluis Trapero (già imputato per sedizione), e la nomina della vicepresidente del governo Soraya Sáenz de Santamaría come reggente ad interim in Catalogna. La lady di ferro dell’esecutivo di Rajoy assumerà la maggior parte delle funzioni di Puigdemont, affiancata dal ministro delle Finanze Cristobal Montoro che si occuperà delle questioni economiche. Puigdemont e compagni permettendo, ovviamente.

Molto più indolore è stata invece la destituzione del capo della polizia catalana Trapero (sostituito dal commissario Ferran López) dal quale è arrivato un messaggio accettazione che scaccia lo spettro dello scontro tra forze armate catalane e spagnole: «Vi chiedo – ha dichiarato il maggiore dei Mossos in una lettera ai suoi uomini – lealtà nei confronti degli ufficiali che mi sostituiranno».

Su entrambi i fronti, le reazioni popolari non si sono fatte attendere. Ieri, a Madrid un corteo punteggiato di bandiere spagnole e guidato da esponenti del Pp ha sfilato al grido di «Puigdemont in prigione», mentre gli unionisti catalani sono convocati per oggi a Barcellona dall’organizzazione Sociedad Civil Catalana; in risposta gli indipendentisti, attraverso il sindacato Intersindical CSC, hanno indetto uno sciopero generale (già dichiarato illegale dal ministero del Lavoro) che, se confermato, durerà da domani al 9 novembre.

OVVIAMENTE QUELLA DI IERI è stata una giornata di commenti e riflessioni da parte di tutte le forza politiche: «Quello che sta succedendo in Catalogna è dovuto alla recrudescenza della retorica nazionalista e settaria che sta prendendo piede in tutta Europa», ha detto il segretario generale del Psoe, Pedro Sánchez, che ha poi lanciato una frecciata a Podemos: «C’è un’altra sinistra che non ha voluto ammettere che il secessionismo è un ritorno al passato».

Contro la secessione, ma anche contro il 155 e il mantenimento dello status quo si è espresso Alberto Garzón, coordinatore federale di Izquierda unida: «Per andare verso una soluzione della questione Catalana è necessario adottare una Costituzione repubblicana e federale che faccia cessare questo scontro di bandiere».