La ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Valeria Fedeli non avrebbe conseguito il diploma di maturità ma sarebbe in possesso di un diploma magistrale triennale che, verso la fine degli anni Sessanta, permetteva di insegnare nelle scuole materne. Il caso è stato nuovamente sollevato da Mario Adinolfi, presidente del Popolo della Famiglia, ex deputato Pd e tra gli organizzatori dell’ultimo Family Day, su facebook. E’ la nuova ammissione dell’ex vice-presidente del Senato dopo avere riconosciuto un'”imprecisione lessicale” a proposito di una laurea compiuta nella compilazione di due curricula diversi caricati sul sito personale.

“Lo avevamo già spiegato nei giorni scorsi, lei ha fatto una scuola per conseguire il diploma di maestra nelle scuole materne che dura tre anni” sostengono persone vicine alla ministra. “Niente di nuovo, Adinolfi esprime legittimamente la sua opinione su quali titoli debba avere o non avere” un ministro dell’Istruzione.

In realtà, la nuova ammissione non può essere spiegata con l’eufemistico “imprecisione lessicale” (o “leggerezza”) contenuta in due curricula diversi, ma come un’omissione. Nelle dichiarazioni pubblicate da Fedeli sul suo sito, il particolare sul diploma di maturità è stato omesso. Sia nel primo curriculum (pubblicato qui)

primo cv valeria fedeli

che nel secondo curriculum, dove il “diploma di laurea in Scienze Sociali presso Unsas” è stato trasformato in “laurea in scienze sociali (attuale laurea in Scienze Sociali)”. Il documento è stato nel frattempo rimosso e non più rintracciabile sui motori di ricerca (era online fino al 14 dicembre). Questo è lo screenshot di una parte del pdf allora reperibile in rete

 

secondo cv fedeli

Non avere chiarito, tempestivamente, e pubblicamente, il reale contenuto del proprio percorso formativo è stata un’ingenuità politica che ha esposto la neo-ministra dell’Istruzione a un primo attacco degli oltranzisti no-gender. L’obiettivo di questi ultimi è chiaro: è l’occasione per attaccare l’istruzione pubblica, laica, sulle differenze nelle scuole italiane. Avere omesso, una seconda volta, un altro particolare sulla natura dei titoli di studio effettivamente conseguiti è un nuovo colpo a favore di questa offensiva. Sono attacchi che tendono a colpire la credibilità della figura politica, e personale, di una ministra dell’Istruzione, a poche ore dalla sua nomina, su una questione a dir poco centrale nella vita dei precari della scuola e dell’università.

Davanti alla violenta svalutazione dei titoli di studio, e professionali, e in presenza di una governance che obbliga gli insegnanti come i ricercatori a un percorso di verifica, certificazione, valutazione di tipo punitivo, penitenziale, umiliante e ossessivo il senso dell’attacco politico è sempre più chiaro. Umiliare vite vulnerabili e precarie di persone ultra qualificate e vittime del sistema neoliberale dell’istruzione e della ricerca pubblica, esibendo i titoli veri, presunti o imprecisi della ministra, e colpire quest’ultima con l’indignazione prodotta dalla sua nomina in un governo renziano senza Renzi. Una vera e propria trappola nella quale la stessa ministra, con le sue omissioni e ammissioni, sta cadendo.

Agli attacchi sull’«educazione di genere» Valeria Fedeli ha risposto che la sua proposta di legge «non ha nulla contro la famiglia», ma riguarda i diritti, la parità di genere e intende applicare le convenzioni internazionali che attribuiscono alla scuola un ruolo educativo nella lotta contro le discriminazioni e le violenze.

L’attacco a Valeria Fedeli è un altro episodio di una battaglia iniziata con le unioni civili. Le destre (e una parte del Pd) hanno costretto il governo Renzi a stralciare la norma sulla «stepchild adoption». Ma non è bastato: «Ce ne ricorderemo al referendum» ha detto Gandolfini che ha votato «No». Lo scontro si è riverberato sull’educazione alle differenze nelle scuole. Una battaglia sostenuta da un amplissimo arco di forze sociali che si è organizzato in movimento e da tre anni organizza il meeting «Educare alle differenze». Contro questo movimento per la laicità, la scuola pubblica e le differenze, è dilagato il neo-fondamentalismo contro la «teoria del gender».