Quarto capitolo della franchise inaugurata nel 2010 da James Wan, Insidious ritrova un pochino dello smalto perso per strada in questo nuovo capitolo della serie, L’ultima chiave, diretto da Adam Robitel, regista del non banale The Taking of Deborah Logan. Leigh Wannell, il creatore della serie, che nel film interpreta l’imbranato Specs, ormai vero e proprio showrunner, sembra intenzionato a creare l’equivalente di un Venerdì 13 e dei suoi sequel infiniti, aggiornando il tutto a una sensibilità teen nutrita a dosi industriali di serie tv divorate in fluviali sedute di binge watching.

In questo quarto capitolo si viene a conoscenza del passato di Elise (Lyn Shaye), della sua famiglia e del demone che vorrebbe utilizzare da sempre i suoi poteri per aprire tutte le porte (dell’Inferno, ovviamente). Detto che gli autori della serie dovrebbero almeno versare qualche dollaro a Lucio Fulci e a Massimo Lentini per come utilizzano senza remore le intuizioni scenografiche e spaziali dell’oltre mondo dei demoni (che deve tutto o quasi al magnifico L’aldilà – E tu vivrai nel terrore), questo quarto episodio di Insidious sorprende per la precisione quasi didascalica del sotto testo femminista.

Elise, cresciuta con un padre secondino violento, il quale provoca indirettamente la morte della madre, dovrà tornare sulla scena primaria della sua vocazione per affrontare il demone (una sorta di super padre malvagio) e riscattare così il vero genitore, succube del mostro. Come dire: i maschi sono prigionieri della loro natura, si divertono a tenere segregate in cantina le donne (in senso figurato e non) e spetta all’eterno femminino spezzare le catene della sudditanza nei confronti delle pulsioni libidiche violente.

Inevitabile, dunque, che al demone della violenza del maschio, si opponga il bene assoluto di una madre che anche nelle tenebre veglia sulle sue figlie. Se al posto del demone ci mettete Weinstein e in quelle delle vittime le donne molestate e violentate dall’ex Mogul, Insidious: l’ultima chiave si rivela essere l’horror perfetto per questi tempi di nuova centralità femminista (il tempismo, in ogni caso, è davvero notevole). Al di là di queste analogie, il film garantisce il minimo sindacale garantito di spaventi (jump scare telefonati ma efficaci), e Robitel dirige il tutto con qualche strizzatina d’occhio come per dire che in fondo Insidious ormai è diventato una specie di bizzarro incrocio fra Ghostbusters e Scooby Doo. Fin quando il giochino regge, però, non saremo certo noi a lamentarci.