Un nuovo sistema di calcolo su base biennale a partire dal 2021, che tenga conto anche dell’abbassamento dell’aspettativa di vita, e non solo dell’innalzamento, come avviene attualmente: i sindacati hanno riconosciuto l’«apertura» che il governo ha fatto al tavolo sulle pensioni, proponendo un sistema diverso per determinare l’età di uscita, ma le posizioni restano ancora distanti sulla platea e i criteri per stabilire chi verrà esentato dall’aumento del 2019.

Per lunedì è fissato l’ultimo incontro tecnico prima del faccia a faccia «politico» tra i tre segretari di Cgil, Cisl e Uil e il premier Paolo Gentiloni: per le 19 è già fissato un direttivo della Cgil che potrebbe fare il punto, sia positivo che negativo, e nel caso dare il la alla mobilitazione, cercando poi di coinvolgere le altre confederazioni.

La legge oggi prevede che il calcolo, riferito alla speranza di vita a 65 anni, avvenga sulla base di una formula secca che fa la differenza tra l’ultimo anno del periodo considerato e quello di partenza: in sostanza, l’aggiornamento di fine ottobre ha messo a confronto il 2016 con il 2013, da cui è scaturito l’aumento di cinque mesi, che porterà l’età per la pensione di vecchiaia da 66 anni e 7 mesi a 67 anni nel 2019.

La proposta presentata ieri dall’esecutivo prevede che, in pratica, dal 2021 l’aspettativa di vita verrebbe calcolata considerando la media del biennio 2018-2019 confrontata con la media del biennio precedente; l’eventuale aumento sarebbe portato sul biennio 2021-2022. Nel caso invece di calo, questo sarebbe «scalato» nel biennio successivo (2023-2024), che a quel punto resterebbe fermo, senza cioè che aumenti l’età (il sistema non prevede abbassamenti ma solo, appunto, dei bienni che restano fermi).

I sindacati chiedono però delle modifiche: gli eventuali cali andrebbero assorbiti subito per il biennio in considerazione e non rimandati al successivo. Non solo. La media biennale delle aspettative di vita renderebbe scarsamente percepibili eventuali oscillazioni negative, meglio sarebbe calcolare quindi la media su 5 anni. Obiezioni che il governo avrebbe annotato senza chiudere la porta a modifiche.

Le distanze sono ancora «profonde», poi, sull’identificazione della platea e dei criteri di accesso all’esenzione dallo scatto di età per il pensionamento dal 2019. La trattativa su questo sembra imballata; Cgil, Cisl e Uil infatti continuano a chiedere un ampliamento significativo della platea, troppo pochi 17 mila lavoratori, e una revisione dei criteri di accesso al beneficio, «troppi i 36 anni di contribuzione proposti dall’esecutivo». Ma il governo, come hanno riferito al termine dell’incontro gli stessi sindacati, «appare rigido nell’impostazione» e il suo pacchetto di proposte al momento è «troppo limitato».

A questo punto, valutate da un lato le «aperture» dell’esecutivo, ma per il resto le distanze che in alcuni casi restano «profonde», il verdetto è atteso per lunedì prossimo.