Lo storico summit tra Kim e Trump a Singapore potrebbe regalare un periodo di tranquillità all’Asia. E se lo stato delle cose reggerà questo strambo equilibrio paventato, a uscire come vincitrice strategica della recente girandola diplomatica sarà la Cina.

Il presidente sudcoreano Moon Jae-in rimarrà nella storia come il vero artefice di questo straordinario avvicinamento tra Usa e Corea del Nord, ma al momento sembra essere Pechino a guadagnarci di più dal nuovo assetto che pare definirsi.

Al di là degli aspetti mediatici e di quelli legati al «documento» firmato in modo solenne da Trump e Kim, un insieme di punti troppo vaghi per essere presi sul serio, la vera notizia del meeting di Singapore è quella rivelata da Trump durante la sua conferenza stampa prima di lasciare Singapore.

Il presidente degli Stati uniti ha specificato che a fronte delle promesse di Kim di distruggere un non meglio identificato «grande» sito di test missilistici, da parte loro gli Usa si impegnano a non effettuare più esercitazioni congiunte con la Corea del Sud. Il presidente americano ha giustificato questa scelta argomentando che costano troppo. Ma la rivelazione è potente: restano le sanzioni, restano le basi, a quanto detto, ma saltano le esercitazioni. Si va dunque verso la situazione ideale per Pechino: una Corea del Nord bloccata nella sua escandescenza e nel suo mettere a repentaglio in continuazione la pace nella regione e una Corea del Sud che – pur avendo le basi americane sul proprio territorio – comincia ad allontanarsi militarmente da Washington.

Ma la ragione della gioia di Xi Jinping di fronte a questo scenario, non risiede solo nelle strategie militari. La Cina sta rafforzando il proprio esercito, specie la marina, sta andando verso un corpo militare iper specializzato e composto da squadre d’élite, ma sa bene che la distanza dagli Usa in quel campo è ancora eccessiva.

Ma non è quello il punto che interessa a Pechino. Alla Cina ora come ora servono condizioni ideali per il suo sviluppo economico, per la Nuova via della Seta, per la vendita anche all’estero di robotica e prodotti legati all’intelligenza artificiale. Serve un’Asia che non sia turbolenta.

Con Seul i problemi ci sono da molto tempo, ci sono stati boicottaggi commerciali, perfino delle pop star sudcoreane, i rapporti tra i due paesi sono stati a lungo più che tesi. Con l’avvento di Moon e la sua politica di apertura anche nei confronti di Pechino, il clima è cambiato.

La Cina ha cominciato a riavviare rapporti commerciali e la Corea del Sud potrebbe fornire vantaggi non da poco alle aziende cinesi e agli scopi di Xi nella regione. Tanto più adesso che il Vietnam torna a contestare la presenza e l’influenza cinese sul proprio territorio – con il Giappone che «orfano» di un alleato forte come gli Usa sta espandendo il suo interesse proprio lì, come la Russia – la Cina ha bisogno di Seul.

La novità annunciata da Trump – dunque- potenzialmente rafforza la Cina in una regione i cui equilibri sono in via di ridefinizione.

E poi c’è la Corea del Nord. Con il regime di Kim al sicuro e militarmente tranquillo, il territorio sopra il trentottesimo parallelo diventa interessante. Per Seul, ovviamente. Per Pechino, per mille motivi. Ma anche per la Russia e per il Giappone.

Mosca si è già detta pronta a contribuire in infrastrutture: Lavrov, non a caso, pochi giorni fa era a Pyongyang. Il Giappone ha detto che se Kim restituirà i giapponesi rapiti è pronta a cooperare per una rinascita economica del paese.

La «pace» quindi potrebbe aprirebbe una nuova fase nella regione asiatica.