Il giorno dopo la nomina del nuovo ambasciatore italiano al Cairo nessun commento arriva dal governo egiziano. I quotidiani riportano la notizia, da quelli governativi come al-Ahram agli indipendenti come Mada Masr. Ma niente di più: i vertici del Cairo non parlano nonostante il richiamo dell’ambasciatore Massari sia stata la più concreta – e unica – presa di posizione diplomatica di Roma a seguito dell’omicidio di Giulio Regeni.

I media sottolineano come il nuovo rappresentante italiano, Giampaolo Cantini, sarà almeno per un po’ di tempo un ambasciatore “in contumacia”: non volerà al Cairo prima di settembre. Una forma di pressione sull’alleato egiziano che non ha per ora dato frutti, vuoi perché non seguono misure europee contro il presidente al-Sisi, vuoi perché gli egiziani fanno leva sugli interessi economici bilaterali. Ieri, a 9 mesi dalla scoperta del ricchissimo giacimento di Zohr (850 miliardi di metri cubi di gas per un’estensione di 100 km quadrati), l’Eni ha annunciato il nuovo livello di produzione raggiunto: 65mila barili di olio al giorno, da portare a 140mila entro l’anno.

In tale contesto è costretta a muoversi la battaglia per la verità sulla morte di Giulio, condivisa dalla società civile egiziana. Non è un caso che attivisti e semplici cittadini ricordino il suo nome durante le manifestazioni, riaccese a metà aprile dalla decisione governativa di cedere due isole egiziane all’Arabia Saudita in cambio di finanziamenti miliardari.

L’importanza che il caso Regeni rappresenta per il governo egiziano è dato dall’arresto di Ahmed Abdallah, presidente del Coordinamento Egiziano per i diritti e le libertà e consigliere della famiglia del ricercatore. Dopo l’udienza di domenica che ne aveva prolungato di altri 15 giorni lai detenzione, oggi se ne terrà un’altra su ricorso della difesa che ne chiede la scarcerazione. Secondo il suo avvocato, Anas al-Sayed, Abdallah potrebbe essere rilasciato già oggi.

Fuori, per le strade, a guidare la protesta contro il regime resta il sindacato della stampa, punto di riferimento per avvocati, attivisti, artisti e cittadini. Ma le pressioni sui giornalisti aumentano e fanno vacillare l’unità del movimento. Dopo la riunione di martedì tra il sindacato e la commissione parlamentare per i media, incaricata di negoziare una tregua, ieri alcuni deputati hanno riferito di un indietreggiamento dei giornalisti: sindacato e Ministero degli Interni sono vicini a trovare «una soluzione amichevole».

Secondo Osama Sharshar, membro della commissione, i giornalisti si sono detti pronti a risolvere il conflitto, ribadendo il proprio rispetto per le istituzioni statali. Non a caso, aggiunge, il sindacato ha deciso di posporre l’assemblea generale prevista per martedì e che avrebbe dovuto sancire l’inizio dello sciopero.

Il timore è quello di un affievolimento della nuova ondata di proteste anti-governative, naturalmente esplose a causa della dura campagna repressiva che Il Cairo ha inaugurato ormai tre anni fa.