A Tripoli solo nel pomeriggio di ieri è tornata una relativa quiete nella zona sud, quartiere di Ben Ghashir, interessata da nuovi scontri a fuoco tra milizie rivali. La nuova tensione è scattata il giorno dopo la fine della conferenza di Palermo sulla Libia che ha visto al centro dei colloqui proprio la sicurezza nella capitale e le riforme economiche.

Ciò che è successo a Tripoli nelle successive ventiquattr’ore dopo la chiusura delle luci sul vertice di Villa Igiea si può pensare come un riflesso del summit: un colpo di coda di chi teme di perdere il potere delle armi e del denaro. O anche un messaggio dei gruppi gheddafiani esclusi dagli inviti a Palermo. Morti in effetti non ce ne sono stati. La sera di mercoledì la Settima Brigata di Tarhuna – già protagonista dei violenti scontri tra milizie di fine estate sempre nella zona sud della capitale ma in quel caso costati la vita a 120 persone, inclusi alcuni civili – ha bloccato le strade di accesso all’ex aeroporto internazionale, un’area abbandonata da anni perché ormnai devastata dalla guerra civile, dichiarandola «zona militare». La motivazione ufficiale di questo gesto non sono chiarissime e sarebbero da collegare al tentativo di liberare otto miliziani detenuti dalla Settima Brigata da parte di un’altra milizia, la cosiddetta Forza centrale di sicurezza Abu Salim.

Tarhuna è un villaggio distante una sessantina di chilometri dalla capitale dove si sono asserragliate famiglie importanti di ex gheddafiani e tra le file della Settima brigata figura anche Ahmed Qadail al Damm, cugino del defunto Colonello Gheddafi. Quando la Settima brigata ha occupato le strade e il ponte in direzione dell’ex scalo internazionale, per liberare il quartiere, è intervenuta un’altra milizia: la Brigata Al Sumud, guidata dal misuratino Salah Badi.

Altro evento del dopo conferenza è stato una lunghissima fila, mercoledì, davanti alle banche commerciali di Tripoli che hanno dovuto prolungare l’apertura degli sportelli fino a notte per consentire il ritiro della valuta. Un drenaggio di liquidità che ha provocato una svalutazione del dinaro rispetto a tutte le valute estere.

La Russia, che dopo Palermo si è rifiutata di stampare 12 miliardi di dinari per la filiale ribelle della Banca centrale a Bayda, ha nel frattempo annunciato colloqui con Saif al Islam Gheddafi in vista delle elezioni e ha annunciato – riferisce il sito Sputnik – l’invio del ministro Serghei Lavrov a Roma a fine mese.