Forse l’11 giugno 2014 diventerà una data storica per il jazz italiano. Il ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo Dario Franceschini ha annunciato i programmi di festival e rassegne di jazz del Bel Paese per l’estate ’14 e presentato varie e significative iniziative, introdotto da Gianni Pini (presidente della Associazione i.jazz) e da Paolo Fresu (musicista, direttore artistico e membro del direttivo del Midj, riunisce i jazzisti italiani). Cifre, iniziative e nuovi orizzonti si schiudono, con parole e fatti, a un nuovo scenario per il jazz fuori dalla nicchia in cui era costretto e verso un dispiegamento delle potenzialità culturali, economiche, artistiche e di indotto.
Gianni Pini ha parlato di 42 manifestazioni e circa 450 musicisti censiti per la prossima estate (il lavoro è «in progress» e sempre più associazioni chiedono di entrare in i-jazz). Si tratta di rassegne distribuite in tutta Italia, in luoghi artistici di valore, con un jazz dai marcati tratti di originalità che costituiscono, quindi, un prodotto di valore del made in Italy. «Del resto – ha precisato Pini – nel 2012 la Siae ha censito 600 mila spettatori e circa 500 soggetti nel settore». Paolo Fresu ha sottolineato che «oggi il jazz entra ufficialmente nello nostra storia e cultura» e di come «insieme ad altre eccellenze, sappia raccontare il nostro paese nella sua diversità».

Per il ministro Franceschini,  è assodata «l’importanza del jazz i cui concerti sono circa 1/4 di tutti quelli realizzati in Italia; in più sono localizzati in luoghi di valore artistico e paesaggistico e contribuiscono alla crescita culturale e all’offerta turistica. Franceschini ha precisato che  –  con il Decreto Cultura e altri provvedimenti –  sono stati corretti alcuni criteri del FUS e si è lavorato sul concetto di residenza artistica. Inoltre è  stato varato per il 2015 un fondo straordinario di 500 mila euro (con bando pubblico) per interventi più strutturali che riguardino il jazz. E’ importante, perciò, guardare al presente e al futuro, valorizzare i talenti, la cultura immateriale, le periferie.

«Suona quello che non c’è» è la frase davisiana con cui ha chiuso il suo intervento, pragmatico e non privo di passionalità. Curioso che l’annuncio di un’iniziativa di tale portata arrivi a poche ore dalla notizia dei tagli draconiani apportati dalla giunta capitolina all’estate romana che precludono lo svolgimento dei festival musicali, mettendo in grave pericolo la Casa del Jazz. Più luci che ombre e solo il tempo saprà dire se l’11 giugno 2014 è stata davvero una data storica. Per ora sembra un buon inizio.