«Una cattiva idea da parte di un’organizzazione in preda al panico», «offensivo», «ma come cazzo gli é venuto in mente?» , «anche di questo bisogna ringraziare Weinstein». Dalla stampa online, alle riviste di settore come «Variety», a «Rolling Stone», ai social, definire poco positive le reazioni all’istituzione di una nuova categoria di Oscar «per il miglior film popolare» è un eufemismo. L’annuncio dell’Academy, arrivato l’altro giorno, insieme alla promessa di una cerimonia in diretta che non superi le tre ore, ha scatenato un misto di costernazione e scherno.

L’iniziativa, frutto di una trattativa con la Abc (il network di proprietà Disney) è stata presentata come una misura all’insegna «dell’accessibilità». In risposta al calo dei ratings del telecast (quello del 2018 è stato uno dei meno seguiti della storia) e alla difficoltà sempre maggiore di far coincidere, nell’ambitissima statuetta per il miglior film, l’arte e la cassetta. Scottata dalle accuse di «elitismo» (uno degli insulti favoriti della destra bannoniana/trumpista) l’Academy, invece di porsi il problema dall’interno, punta al PR, e corre ai ripari con una scelta squisitamente d’elite: istituendo una classe a parte per «il popolo».

Già sarcasticamente battezzata l’Oscar Black Panther, la nuova statuetta farà sicuramente sì che l’amato kolossal afroamericano della Disney, il febbraio prossimo, non rimanga con un palmo di naso, perdendo magari rispetto a un film che ha venduto un centesimo dei suoi biglietti. Ed esponendo così l’Academy, oltre all’accusa di essere elitaria, anche di essere razzista. Ma perché Black Panther non dovrebbe vincere la statuetta di miglior film? Grazie a questa nuova misura – che contraddice il Dna arte/cassetta che è l’essenza stessa del cinema hollywoodiano – non lo sapremo mai. Però il premio di consolazione è garantito.