Nell’edizione di quest’anno dello Yamagata International Documentary Film Festival, una delle sezioni più interessanti è senza dubbio Politics and Film: Palestine and Lebanon 70s–80s, dove spiccano i documentari realizzati dalla regista Jocelyne Saab fra il 1975 ed il 1982 e quelli di cinema militante che molta parte hanno avuto nella formazione di un’identità rivoluzionaria palestinese durante il periodo.

Non poteva mancare The Red Army / PFLP: Declaration of World War di Masao Adachi, film di propaganda pro-palestinese che il regista realizzò nel 1971 e che, tornato in Giappone, fece circolare in proiezioni improvvisate e fuori del circuito delle sale.
Adachi, che ancora oggi non può lasciare l’arcipelago nipponico, diventato così la sua casa/prigione dopo 30 anni in Medio Oriente, era alla proiezione e avrebbe dovuto conversare con il giovane regista Mohanad Yaqubi, presente nella stessa retrospettiva con Off Frame aka Revolution until Victory.

Yaqubi che ora è di stanza in Palestina, è stato bloccato al confine giordano dove avrebbe dovuto prendere l’aereo, tutto questo ufficialmente per motivi burocratici ma, secondo quanto dichiarato da Adachi stesso, solo una scusa per mettere il bastone nelle ruote di una relazione artistica che era cominciata lo scorso aprile quando Yaquibi incontrò Adachi a Tokyo.

Sulla stessa lunghezza d’onda di The Red Army si pone Al Fatah: Palestina, film per la televisione diretto nel 1970 da Luigi Perelli (La Piovra 4, Perchè Ho Chi Mihn) ed anch’esso presentato nella sezione, la pellicola descrive la lotta rivoluzionaria della popolazione nei campi di rifugiati palestinesi, quando l’organizzazione politica Fatah si unì all’OLP alla fine degli anni sessanta.

Viste con gli occhi di oggi entrambe le pellicole potrebbero sembrare datate e semplicemente pura propaganda, cosa che è anche certamente vera, ma quando poste in un contesto storico più ampio ed al di là del loro valore prettamente artistico, si rivelano un «luogo» cioè dove fare esperienza della disperazione che attanagliava ed ancora oggi schiaccia parte la popolazione palestinese.

Il cinema militante esiste ancora naturalmente, solo che oggi ha preso nuove forme e strade espressive diverse. In un’altra delle sezioni collaterali del festival infatti è stato presentato Rubber Coated Steel, un mediometraggio che declina impegno politico e sperimentazione visiva in maniera davvero originale. Diretto da Lawrence Abu Hamdan il film riporta sullo schermo i fatti accaduti nel 2014 in Cisgiordania, quando due giovani palestinesi furono uccisi da alcuni soldati palestinesi.

Ma lo fa in maniera elittica con un’analisi audio che riporta il verbale del processo dove si verifica se i proiettili usati dai soldati fossero di gomma o meno. Ma, è qui la parte più interessante del lavoro, l’audio dei proiettili o delle parole degli avvocati e del giudice non è mai fatto sentire, al contrario è trasposto visivamente in parola scritta e in diagrammi che mostrano le varie frequenze di ogni diverso tipo di pallottola. Una costruzione visivo-formale che nel suo essere disorientante riesce ad avere un impatto davvero unico e duraturo sullo spettatore.