Se il Pil non cresce più come prima e se questo accade per molti anni possiamo continuare a vivere con l’ansia dei decimali di Pil? Non si impone il suo superamento come indicatore di benessere economico e sociale? E non diventano necessari altri indicatori complementari o sostitutivi? Con una tempistica quasi perfetta, l’Istat l’altro ieri ci ha informati che il cavallo-Pil non vuole saperne di bere, trasmettendoci così, una vera e propria «ansia da decimali».

Ieri ci ha presentato gli indicatori di Benessere Equo e Sostenibile (Bes), destinati a ridimensionare il Pil. Questi indicatori non hanno lo stesso effetto mediatico del Pil perché si tratta di ben 134 voci raggruppate in 12 domini come salute, istruzione, lavoro…. Siamo, quindi, lontani da un solo indice confrontabile col Pil, ma siamo di fronte ad un fatto rilevante.

Se, infatti, la dinamica del Pil ci fornisce un’immagine di stagnazione, se non secolare, come dicono alcuni economisti, certamente di medio periodo, non è affatto vero che, in parallelo, anche la società si è fermata. Ed allora ben vengano altri indicatori in grado di dirci se in questa apparente calma piatta le acque si sono mosse e se qualcosa è cambiato, in meglio o in peggio che sia. Il fatto che non esista un indicatore unico sintetico di benessere non impedisce che si facciano dei passi avanti per indagare meglio nelle pieghe e nelle piaghe della nostra società.

Abbiamo già proposto di affiancare ad un Pil corretto un indicatore di benessere economico, uno della qualità sociale, ed uno della qualità ambientale. Oggi con gli indicatori di dominio si fa un importante passo importante in quella direzione.

Vediamo ciò che emerge limitandoci solo a pochi aspetti della vita delle persone e soffermandoci, dove possibile, sulle disuguaglianze territoriali, di genere, di generazione.

Salute Viviamo un anno di più rispetto all’europeo medio, la qualità della sopravvivenza non migliora, crescono le disuguaglianze territoriali. Tra nord e sud il divario era di 15 punti nel 2009 è diventato di 17 punti nel 2013. La speranza di vita in buona salute è di 60 anni al nord, ma di 55 al sud. Una bella differenza.

Istruzione Il dato generale che emerge è che col più grande patrimonio storico culturale al mondo viviamo di rendita e spendiamo per la cultura meno degli altri paesi europei. Il capitale umano inteso come formazione, migliora, ma la partecipazione culturale, quasi simmetricamente, diminuisce influenzata dalla crisi. Le donne in questo dominio appaiono come il sesso forte con livelli di istruzione sensibilmente più alti degli uomini. L’indice sintetico di istruzione e formazione è per la Sicilia 87, per il Trentino 125; i giovani che non studiano e non lavorano sono 19 al Nord, 36 al Sud.

Lavoro Questo dominio è suddiviso in due aspetti: la partecipazione al lavoro e la qualità del lavoro. La qualità del lavoro registra un miglioramento con una maggiore soddisfazione per i contenuti. Sul grado di partecipazione al lavoro si sceglie come indicatore chiave il tasso di occupazione. Questa scelta va rimarcata proprio all’indomani dei dati di ottobre che hanno registrato uno stop all’occupazione ed una diminuzione della disoccupazione per il maggiore scoraggiamento, mentre governo e parte della stampa hanno scelto di valorizzare il dato che faceva più comodo del calo della disoccupazione. Il divario Nord Sud passa dai 36 punti del 2007 ai 41 del 2014 ed oggi il tasso di occupazione è pari al 69% al nord ed al 45% al sud.

Sicurezza Gli omicidi in Italia sono meno che negli altri paesi Ue. I furti in abitazione che erano raddoppiati negli anni di maggiore crisi si sono stabilizzati, mentre i borseggi continuano ad aumentare. Omicidi e rapine sono più alti al sud, furti in abitazione e borseggi al Nord. La percezione della sicurezza presenta forti differenze ed un discrimine sembra rappresentato dalla dimensione della regione in cui si vive: più insicurezza nelle regioni piccole, meno in quelle grandi.

In questi anni di crisi più che mai si è parlato di un nuovo modello di sviluppo che implica un nuovo modello di vita. Ebbene, per mettere con i piedi per terra questa idea di società occorre specificare in che cosa si concretizza il nuovo modello. quali settori vanno potenziati e quali scoraggiati.

Gli altri domini sui quali non è possibile adesso soffermarci sono: benessere economico, relazioni sociali, politica ed istituzioni, benessere soggettivo, paesaggio, ambiente, ricerca ed innovazione, qualità dei servizi.
È un bene che per iniziativa di Giulio Marcon molte forze politiche abbiano presentato un disegno di legge perché le prossime leggi di stabilità utilizzino il Bes per definire e misurare le politiche economiche e sociali a livello nazionale e locale. Il Bes, quindi, può diventare una guida per le politiche ed un metro di misura della loro efficacia.

L’Istat ha fatto un ottimo lavoro, speriamo prosegua con la stessa determinazione nella semplificazione in pochi indicatori spendibili e soprattutto più tempestivi provando magari a fornire separatamente quelli disponibili. Costruire indicatori adeguati ad integrare il Pil è compito dell’Istat. Affermare un nuovo modello di crescita e di vita è operazione ben più complessa: politica, economica, culturale. E questa spetta a noi tutti.