Trentun nuovi casi di Covid a Pechino hanno portato le autorità cinesi a ri-chiudere la capitale, per paura che un nuovo focolaio possa propagarsi.

Dietrofront dunque rispetto a una sola settimana fa: le scuole sono state di nuovo chiuse, mentre bar e ristoranti hanno nuovamente abbassato le serrande, anche in aree lontane dai quartieri considerati più a rischio. A queste decisioni del governo e della municipalità si somma la paura dei cittadini, anche a causa delle modalità con le quali Pechino ha gestito la prima fase mondiale dell’epidemia, a segnalare che la fiducia, in questo momento, nei confronti delle isitituzioni non è altissima.

AI RESIDENTI di aree a «medio o alto rischio» è vietato lasciare la capitale, mentre altri devono fornire un risultato negativo del test seriologico. Dal post Covid, come in altre città cinesi, i residenti devono sottoporsi a un controllo della temperatura, così come utilizzare il codice salute e un pass per spostarsi sul territorio cittadino o poter entrare nel complesso residenziale. Si tratta di misure annunciate martedì sera da Chen Bei, vice segretario generale del governo municipale di Pechino.

Liang Qidong, vicepresidente dell’Accademia delle scienze sociali di Liaoning, ha dichiarato al South China Morning Post che il nuovo focolaio a Pechino è «controllabile», quindi non è necessario un rigoroso blocco come a Wuhan. «Pechino ha accumulato esperienza da Wuhan, quindi le sue misure di emergenza sono più specifiche», ha detto Liang. Per alcuni giorni l’untore della situazione è stato considerato il «salmone importato». Alcune tracce del virus sarebbero state riscontrate su un tavolo da lavoro del salmone nel mercato che rifornisce l’80 per cento del fabbisogno alimentare della città.

MA SI TRATTA di un’ipotesi scientificamente poco probabile e divenuta una sorta di orpello politico per giustificare lo stop all’importazione e più in generale a confermare la volontà di tenere ancora il paese sigillato ad arrivi «esterni».

Inoltre, additare il salmone importato e i casi di persone contagiate arrivate dall’estero, ha anche un significato politico di auto assoluzione da parte del governo di Pechino, come a dire che la Cina ha fatto tutto quanto serviva per risolvere il problema che ora si ripropone a causa di eventi esterni al paese. La querelle è stata infine chiarita e risolta ieri.

IN PRIMO LUOGO dalla Norvegia: il ministro della pesca norvegese, Odd Emil Ingebrigtsen, ha riferito di un incontro fra delle delegazioni cinesi e norvegesi, durante il quale è stato confermato che la causa della diffusione non sarebbe il pesce esportato dal paese scandinavo. «Siamo in grado di eliminare l’incertezza e l’interruzione delle esportazioni di salmone in Cina», ha detto Ingebrigtsen nel corso di una videoconferenza con la stampa. A confermare la versione cinese è stato il quotidiano Global Times, che cita quanto dichiarato dal governo municipale della capitale cinese, secondo il quale il nuovo focolaio di Covid-19 nel mercato Xinfadi di Pechino è stato causato dalla trasmissione da uomo a uomo o da contaminazione ambientale

STANDO AI DATI forniti dalla Commissione sanitaria nazionale nel suo rapporto giornaliero la Cina ha confermato 44 nuovi casi di Covid-19 nella giornata di ieri, di cui 33 trasmessi a livello nazionale e 11 importati. Dei casi autoctoni – come riporta Agenzia Nova – 31 sono stati segnalati a Pechino, uno nella provincia dell’Hebei e uno nello Zhejiang. Ieri non è stato segnalato alcun decesso correlato alla malattia mentre sono stati segnalati 11 nuovi casi asintomatici, di cui quattro provenienti dall’estero. Sei casi sono stati riclassificati come casi confermati. Un totale di nove casi asintomatici sono stati dimessi dall’osservazione medica.