Più di mille chilometri di recinzioni, barriere, ostacoli e tutto ciò che è possibile utilizzare per fermare i migranti. La lettera con cui 12 Paesi chiedono all’Unione europea di facilitare e finanziare la costruzione di nuovi sbarramenti è solo un modo per provare a ufficializzare una pratica che nel Vecchio continente esiste da anni, al punto che già oggi si contano almeno una decina di muri già innalzati per fermare presunte invasioni da parte di chi fugge da guerre e miseria. Una politica di sicurezza sempre più sofisticata, che all’iniziale utilizzo di recinzioni metalliche e filo spinato col tempo ha visto l’introduzione di sistemi di sorveglianza sempre più sofisticati rappresentati da telecamere, sensori per individuare il passaggio di persone, sistemi biometrici di rilevamento delle impronte e sistemi radar, fino all’utilizzo dei droni (quest’ultimi utilizzati soprattutto in mare per individuare i barconi dei migranti).

Le politiche securitarie degli Stati hanno finito così per alimentare un business che in tutto il mondo, stando al rapporto The business of building walls curato nel 2019 dal The Transnational Institute (Tni) è stato stimato per il 2018 in 17,5 miliardi di euro, con una crescita annuale prevista almeno dell’8%. E in questo mercato, del quale l’Europa rappresenta una fetta consistente, giocano un ruolo da protagoniste non solo le imprese di costruzioni, ma anche quelle si occupano di armamenti e quelle specializzate in informatica e sicurezza. Innalzare barriere per uno Stato rappresenta quindi anche un notevole peso economico che adesso si cerca di far pagare all’Unione europea.

Muri dunque. Storica la recinzione che la Spagna ha costruito negli anni ’90 nell’enclave di Ceuta e Melilla in Marocco, divenuta col tempo sempre più alta e sempre più pericolosa con l’utilizzo di lame per impedire ai migranti di scavalcare.

In Grecia una barriera di oltre 40 chilometri eretta lungo il fiume Evros separa il confine con la Turchia. Atene ha anche annunciato la costruzione di una nuova barriera marittima alta 110 centimetri e lunga 2,7 chilometri tra la Turchia e l’isola di Lesbo per fermare gli attraversamenti.

In Ungheria il leader Vicktor Orbán ha invece cercato senza successo di far rimborsare da Bruxelles i soldi spesi nel 2015 per innalzare 289 chilometri di muro di ferro ai confini con Serbia e Croazia.

Nuovo confine, vecchio muro. Anche la Bulgaria ha scelto di prevenire possibili arrivi dalla Turchia costruendo una barriera lunga 235 chilometri. Muri anti-migranti sono stati costruiti anche dalla Slovenia lungo il confine con la Croazia e dall’Austria con la stessa Slovenia.

Infine la recente crisi nata nei mesi scorsi ai confini con la Bielorussia ha portato Polonia e Lituania a costruire due nuovi muri per fermare i migranti che, secondo Varsavia, il regime di Alexander Lukashenko costringe ad entrare in Europa come ritorsioni per le sanzioni adottate da Bruxelles.