Il rapporto fra Inquisizione e comunità ebraiche è a suo modo paradossale: in teoria, gli ebrei non avrebbero dovuto esser soggetti al tribunale dell’Inquisizione, che si occupava di eretici ed eresia, considerata un’errata interpretazione della fede, e in quanto tale cosa interna al cristianesimo.

Tuttavia, già nel corso del Medioevo la situazione era ben diversa: l’istituzione era attiva dal XIII secolo, e già nel corso del successivo gli inquisitori cominciarono a preoccuparsi sia degli scritti in cui gli ebrei attaccavano la fede cristiana, sia del tema degli ebrei convertiti al cristianesimo che si rivelavano ancora legati alla loro comunità originaria; non mancarono infatti le condanne delle quali furono vittime ebrei accusati di essere ritornati, dopo la conversione, al loro primitivo credo. Il che, dal punto di vista cristiano, si configurava come apostasia, ritenuta un crimine grave e, soprattutto, ormai non più concernente l’ambito intercomunitario, ma del tutto interno a quello cristiano.

È tuttavia in età moderna che l’azione dell’istituzione inquisitoriale nei confronti degli ebrei si fa più importante e, soprattutto, è maggiormente documentata, in particolare da quando, nel 1998, c’è stata l’apertura ufficiale dell’Archivio della Congregazione della Fede, che ha permesso di dare una svolta agli studi sull’Inquisizione, e nello specifico ai rapporti con l’ebraismo.

NUMEROSE pubblicazioni hanno rispecchiato questa nuova fase nella storia della storiografia sul tema, fra le quali si segnala l’uscita recente del volume L’Inquisizione e gli Ebrei. Nuove ricerche, a cura di Marina Caffiero, in collaborazione con Giuseppina Minchella (Edizioni di Storia e Letteratura, pp. 178, euro 32). Il volume raccoglie otto saggi, più l’introduzione di Caffiero, che fa il punto della situazione degli studi, un tema sul quale torna nelle pagine successive Magda Teter occupandosi della «svolta archivistica», come viene detta, che ha mutato la rappresentazione dei rapporti tra ebrei e papato nella storiografia europea. Dal punto di vista cronologico, il saggio che risale più indietro è opera di Giacomo Todeschini, il quale scrive della teologia e della canonistica che riflettono sullo statuto degli ebrei nell’Europa fra Rinascimento e Controriforma.

GLI ALTRI SAGGI sono più decisamente volti allo studio dell’età moderna fino alle soglie della contemporaneità, affrontando tematiche diverse fra loro, che tuttavia vanno a formare un mosaico perfetto: le relazioni economiche fra i poteri «cristiani», ecclesiastici e civili, e gli ebrei (Maifreda); la confisca dei libri ebraici attraverso un caso di studio ambientato in Ancona (Andreoni-Mampieri); il ruolo delle Case dei catecumeni nella funzione di controllo della minoranza ebraica (Caffiero); la giurisdizione sui matrimoni degli ebrei, con particolare riferimento ai matrimoni misti, sui quali pendeva un divieto antichissimo (Cristellon); la recrudescenza dell’attività inquisitoriale antiebraica nella Restaurazione (Armando); per concludere con il tema inedito della filantropia degli ebrei italiani nell’Ottocento (Pellegrini).

L’insieme dell’opera ha il pregio di presentare i frutti rinnovati di una ricerca che in questi ultimi anni sta fiorendo come mai in passato, andando oltre una visione dogmatica e schematica dei rapporti intercomunitari, e confermando il ruolo centrale di Marina Caffiero in questa ridefinizione della storia dell’ebraismo italiano.