Le nuove restrizioni arriveranno, di questo si può stare certi. Probabilmente non a strettissimo giro come molti profetizzano, non la settimana prossima ma in dicembre, anche se ulteriori impennate dei contagi potrebbero accelerare i tempi. Per ora ci sono solo una certezza positiva, l’introduzione dell’obbligo vaccinale per il personale medico e delle Rsa, una elevatissima probabilità il cui varo immediato non è però ancora certo, la riduzione della validità del Green Pass da 12 a 9 mesi, e una certezza negativa: non verrà deciso l’obbligo di vaccinazione. Nonostante le richieste pressanti di Carlo Bonomi e Confindustria, nonostante il parere positivo anche dei sindacati, il governo, pur senza escluderlo tassativamente e in via definitiva, non vuole azzardare un passo che avrebbe costi certi e vantaggi incerti.

A PREOCCUPARE DRAGHI e il ministro della Salute Roberto Speranza, ancor più dell’aumento del numero dei contagi, è la situazione in picchiata degli altri Paesi europei. Con mezzo continente inclusi i Paesi confinanti quasi fuori di controllo, pensare di fermare il virus alla frontiera sarebbe illusorio. Ma qui l’obbligo per gli italiani servirebbe a ben poco. Impossibile inoltre controllare ogni singola persona, si ritiene. L’obbligo si tradurrebbe in una serie di controlli per strada, moltiplicando la tensione in cambio di una percentuale di vaccinati in più esigua.

In compenso arriverà quasi certamente il Green Pass rafforzato, quello che reclameranno molte Regioni nell’incontro con il governo. Lo annuncia più fragoroso di tutti il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta, come sempre ruvido e spiccio: «Perché devono pagare tutti per colpa di una estrema minoranza sempre più invisa?». Il sottosegretario alla Salute Andrea Costa invece frena: «Ad oggi non è sul tavolo il tema della modifica dei criteri per ottenere il Green Pass». Ma con le Regioni che premono, il contagio in Europa ben oltre il livello di sicurezza e la situazione in via di peggioramento anche in Italia (ieri sono stati registrati 11.555 nuovi casi e 49 morti, con il tasso di positività stabile al 2%), salvo provvidenziali inversioni di tendenza e smentita delle infauste previsioni, per la nuova stretta è solo questione di tempo.

IL LAVORO PERÒ SAREBBE preservato, anche perché in caso contrario bisognerebbe procedere con un’ondata di licenziamenti e il rimedio sarebbe peggiore del male. Il divieto d’accesso ai non vaccinati, tampone o non tampone, entrerebbe in vigore in tutti i luoghi di svago: spettacolo, sport, ristorazione. In teoria l’applicazione del Green Pass irrigidito potrebbe scattare solo nelle eventuali zone arancioni. Gli strateghi della lotta al Covid sono convinti che la vera mossa azzeccata dell’Italia sia stata la modulazione e non intendono abbandonarla. Le zone, oltre che sulle mascherine obbligatorie anche all’aperto, potrebbero decidere anche sui criteri del Green Pass. Se non fosse che le zone cambiano colore rapidamente mentre il Pass, nella sua forma attuale, è di lunga durata. Coniugarlo con la modulazione non sarebbe facilissimo.

Nella maggioranza le resistenze arriveranno, come al solito, dalla Lega, anche se il momento della verità per Salvini arriverà, dato anche l’elevato livello simbolico, con la proroga dello stato d’emergenza, che verrà decisa poco prima della fine di dicembre, e con il decreto, da varare in gennaio, che prolungherà i termini del possibile stato d’emergenza oltre l’attuale limite di due anni.

FUORI DAL PALAZZO, nelle piazze, la stretta sarà ovviamente accolta malissimo da chi già protesta contro il «semplice» Green Pass. Ieri, come ogni sabato, si sono ripetute manifestazioni e tensioni in diverse città, soprattutto Roma e Milano. Nella Capitale quattromila persone secondo gli organizzatori, molte di più secondo i manifestanti stessi, si sono riunite al Circo Massimo, senza veri problemi di ordine pubblico, dato e non concesso che un concerto improvvisato da Povia non rientri nel novero delle minacce. Qualche tensione in più, invece a Milano, con tre fermati. Nella galleria di dichiarazioni dementi e offensive che va in scena da mesi in Italia, e non da una parte sola, la palma stavolta va al consigliere provinciale no vax di Monza Fabio Meroni che ha parlato della senatrice a vita Liliana Segre non citandola per nome ma col numero tatuale sul braccio dai nazisti ad Auschwitz. Il fondo del barile.