L’ex ministro oggi europarlamentare Cécile Kyenge è relatrice di un dossier sul Mediterraneo che verrà presentato entro al fine dell’anno al parlamento europeo. Dossier richiesto da Bruxelles proprio per affrontare l’emergenza immigrazione lungo una delle rotte più battute come il canale di Sicilia e che prevede sopralluoghi in tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. «L’obiettivo è quello di arrivare a una politica comune europea nella ricerca e salvataggio dei migranti, cosa che in parte è stata già recepita perché anche grazie a questo lavoro la Commissione europea ha aumentato i finanziamenti per Triton e Poseidon portando di fatto le due missioni a ricalcare tutti gli obiettivi di Mare nostrum», spiega. «Un altro punto riguarda la possibilità di agire insieme, come Europa, nel contrasto e nella distruzione della rete criminale dei trafficanti di uomini, non limitandoci al Mediterraneo ma seguendo tutta la transazione finanziaria per arrivare fino alla testa di chi organizza il traffico. Infine c’è la parte che riguarda l’accoglienza e l’integrazione, fondamentale visto quello che sta succedendo in Italia, Ungheria, Inghilterra e in parte anche in Francia, dove partiti populisti si rifiutano di applicare un valore previsto dalle nostre Costituzioni. Infine sottolineiamo la necessità di una revisione delle politiche riguardanti l’asilo, armonizzandole fino a superare il regolamento di Dublino per arrivare a un mutuo riconoscimento dell’asilo. Per questo è necessario anche rafforzare Easo, l’ufficio europeo di sostegno a tutte le pratiche di asilo, altrimenti rischiamo di trovarci con Frontex, che è già molto forte, che prende il sopravvento sull’asilo.

Lei ha parlato di contrasto dei trafficanti. Perché non proponete l’apertura di corridoi umanitari?
Ma esistono già. L’agenda immigrazione prevede il reinsediamento delle persone che ottengono il diritto di asilo.

Stiamo parlando di appena 20 mila persone in due anni, non è certo un corridoio umanitario.
Infatti quello che contesto sono i numeri. Su una comunità di 500 milioni di abitanti come è l’Europa, 20 mila persone sono davvero niente, un numero irrisorio. Nel dossier proponiamo di rendere il ricollocamento permanente e obbligatorio per tutti i Paesi. E tra i criteri da prendere in considerazione per la distribuzione va tenuto conto anche del parere del richiedente asilo: non possiamo mandare una persona in Germania quando tutta la sua famiglia è in Svezia. Non sono merci, sono persone che dobbiamo ascoltare. L’obiettivo è quello di aumentare i centri dove raccogliere le domande di asilo nei Paesi limitrofi a quelli dove è in corso un conflitto.

Nonostante l’aggravarsi della crisi, l’Europa è sempre più divisa. Come si può sperare in una politica comune sull’immigrazione?
Fortunatamente non sono molti i Paesi che si oppongono, anche perché la Germania, che ha una forza non indifferente all’interno del Consiglio europeo, è d’accordo nel modificare il regolamento di Dublino e non ha avuto paura di dire che quest’anno accoglierà 800 mila siriani. Ci sono Paesi che possono essere determinanti nelle decisioni del consiglio per superare gli egoismi degli Stati.

Lei cita la Germania, ma pur apprezzando la decisione di sospendere Dublino per i siriani, andrebbe detto che Berlino si è scelta l’elite dei profughi, la media alta borghesia siriana composta spesso da professionisti. E ha lasciato tutti gli altri, eritrei, afghani, iracheni, al resto dell’Europa.
Ma cosa impedisce agli altri paesi di eliminare i muri per i siriani? Possiamo anche accusare la Germania di aver agito per interesse, ma non di averlo fatto a danno dell’Europa. Quello che manca è l’uniformità delle regole. Perché stiamo discutendo di costruire una politica dell’asilo comune? Per evitare queste disparità, situazioni dove ognuno si muove come vuole . Non si può criticare un Paese che comunque ha compiuto un passo positivo. E’ vero, magari lo ha fatto per interesse, ma la Merkel ha comunque dato un imput che andrebbe allargato a tutti i Paesi.