Capitale Sociale. Segnali e tracce concrete di cambiamento ieri mattina in Campidoglio. Dopo alcuni mesi di incontri, iniziative e sana dialettica tra istituzioni locali e sociali, è stata presentata a Roma dai capigruppo di maggioranza la delibera che istituisce il «Fondo di contrasto ai fenomeni di nuova povertà», alimentato da fondi pubblici e privati. Una delibera ispirata da un approccio innovativo, per tenere finalmente conto dei cambiamenti economici e sociali che sempre più spesso si abbattono sulla vita delle persone e delle famiglie. Un passo avanti importante. Si comprende come la crisi sia molto più complessa di come la si è voluta rappresentare, e soprattutto non aggredibile con i vecchi strumenti destinati prevalentemente al sostegno di situazioni di povertà cronica e disagio sociale conclamato. I dati devastanti della povertà e della disoccupazione a Roma impongono non un cambio di marcia bensì un cambio di rotta. Il 40% dei giovani è senza lavoro, 40 mila bambini vivono in condizioni di povertà, due giovani su tre sono disposti a lasciare Roma per una vita migliore.

L’esclusione sociale e la crescita delle diseguaglianze causata dall’aumento della povertà e dalla perdita di reddito da lavoro coinvolgono ormai non solo i ceti popolari. Siamo ormai alla fine dell’Italia del ceto medio e del sogno del “tutti padroni a casa nostra”: per la prima volta dal dopoguerra, infatti, la maggioranza della popolazione italiana non si identifica più nel rassicurante ceto medio ma in quello basso. In chi sta peggio.

La crisi trascina in basso e in povertà un italiano su tre, come ci ricordano i dati Eurostat. Più che una tendenza, siamo davanti ad una valanga che scendendo a valle senza spinte contrapposte ed ostacoli sta sgretolando coesione sociale, fiducia nelle istituzioni e speranze. Una situazione drammatica a cui le istituzioni locali che si confrontano giornalmente con la povertà sui territori non riescono a opporre una risposta efficace e sistemica, soprattutto a causa delle politiche economiche di austerity imposte dalla Bce e Commissione europea, evidentemente accettate da gran parte della classe dirigente politica. Le decisioni prese con il Trattato di Mastricht del 1992 sino a quello sulla Stabilità, il Coordinamento e la governance che include il recente “fiscal compact”, hanno avuto come effetti la riduzione dell’intervento pubblico, della possibilità di manovra fiscale per rilanciare l’economia, delle tutele per il lavoro, i salari e l’ambiente. La spesa pubblica ed in particolar modo quella sociale è stata inibita con impianti normativi che hanno stravolto la legalità costituzionale e causato una crisi sociale, economica e culturale senza precedenti. Siamo davanti ad una sproporzione gigantesca nella tutela degli interessi della finanza e delle banche rispetto a quelli dei cittadini. Vengono rovesciati i principi di solidarietà politica, uguaglianza e progressività fiscale ridistribuendo il reddito e la ricchezza al contrario, dal basso verso l’alto. Un percorso intrapreso secondo la maggioranza degli studiosi da oltre trenta anni, non certo nel 2007. Una crisi che viene dunque da lontano, amplificata sette anni fa dalle politiche di austerity che hanno utilizzato gli Stati ed i soldi pubblici per ripianare le perdite prodotte da un sistema finanziario scellerato che crea denaro con il denaro attraverso algoritmi che rispondono solo alle regole del profitto, non certo a quelle con cui, nella nostra Costituzione, si tutelano i diritti.

Proprio nel momento in cui welfare e politiche sociali dovrebbero essere al centro di qualsiasi progetto per contrastare la povertà e la crisi, continuano a subire tagli e ad essere al centro di un progetto di sostanziale liquidazione. Senza investimenti pubblici non ci può essere una politica del lavoro e per il lavoro. Senza politiche sociali non ci può essere nè lotta alla povertà, né rilancio dell’economia e della domanda aggregata. Senza lavoro e diritti non c’è democrazia. Una situazione evidentemente insostenibile non solo a Roma, ma in tutta Europa. Di questo, ed è un bene, si iniziano ad accorgere in diversi. Così mentre nella sala della piccola Protomoteca i capigruppo di Roma Capitale presentavano la delibera che riconosce la necessità di rimettere al centro le politiche sociali ed un approccio diverso nel contrasto alla povertà, sempre a Roma si riuniva, presso la sede dell’Anci, il primo Coordinamento degli assessori alle politiche sociali delle grandi città. L’obiettivo è quello di unire le forze affinché le tematiche sociali vengano messe al centro dell’agenda nazionale perché, come hanno sottolineato gli stessi assessori, «non è ipotizzabile una politica economica che non abbia al centro la lotta alla povertà, è un dovere etico-istituzionale ma è anche un fattore strategico». Le città soffrono e questo nuovo fronte vuole rivolgere i propri sforzi «con azioni incisive di assistenza e di inclusione sociale, così come di sostegno al reddito, ma anche con politiche di integrazione socio-sanitaria». Garantire il diritto alla salute, al lavoro, alla casa, ai servizi sociali oggi dipende dunque dalla capacità di cambiare le politiche economiche di austerity, rimettendo al centro gli investimenti pubblici e rilanciando il welfare, all’interno di un modello produttivo che sappia convivere con i limiti imposti dal pianeta ed adattarsi e mitigare le conseguenze della crisi ecologica.

Il percorso inaugurato in forme diverse l’altro ieri su Roma ci colloca sulla strada giusta. Tre i passi che abbiamo davanti e impegnano tutti: rendere il percorso partecipato, calendarizzarlo il prima possibile, prevedere le dotazioni finanziarie adeguate.

*campagna Miseria Ladra, Gruppo Abele-Libera