Oggi in Consiglio dei ministri viene adottato il testo delle ordinanze sulla riforma del codice del lavoro. I decreti di applicazione verranno pubblicati nelle prossime settimane, poi ci sarà il voto al Parlamento, senza discussione sui contenuti, come previsto dall’iter accelerato. Questo malgrado una seconda giornata di protesta ieri in tutta la Francia contro le “ordinanze” e contro la nuova riforma del lavoro, 200 manifestazioni circa organizzate dalla Cgt con Solidaires, Fsu e Unef (studenti), senza l’adesione delle direzioni dei sindacati “riformisti”, anche se in piazza c’erano dei militanti Cfdt e Force ouvrière. La partecipazione è stata in leggero calo rispetto ai cortei del 12 settembre (“equivalente” per la Cgt), mentre gli scioperi sono stati un po’ più seguiti (a Parigi c’erano 16mila persone per la polizia e 55mila per la Cgt, due valutazioni comunque in calo rispetto a una settimana fa). Il braccio di ferro continua: sabato c’è la marcia contro il “colpo di stato sociale” organizzata da France Insoumise alla Bastiglia, poi i camionisti protestano di nuovo il 25, il 28 sarà la volta dei pensionati e ad ottobre manifestano gli statali (il codice del lavoro non li riguarda direttamente).

Per i sindacati “riformisti” la battaglia deve concentrarsi sul contenuto dei decreti di applicazione: per Laurent Berger, segretario della Cfdt, le ordinanze sono “squilibrate” a favore del padronato e a danno dei lavoratori, ma una correzione è possibile, una mossa “meno spettacolare, ma è possibile vincere”. Per la Cgt, invece, è necessario ritrovare un’unità sindacale, per bloccare le ordinanze: il segretario Philippe Martinez, che è convinto che il movimento crescerà, ha di nuovo lanciato un appello a Cfdt e Force ouvrière perché cambino strategia.

Ieri, due legittimità si sono scontrate: quella delle urne, invocata dall’Eliseo e dal governo, e quella della piazza. Per Emmanuel Macron, “la democrazia non è la piazza” (anche se ha precisato che le manifestazioni sono “legittime”, essendo un diritto costituzionale). “Mettiamo in opera quello che i francesi ci hanno chiesto di fare, quindi non torniamo indietro”, ha precisato la ministra del Lavoro, Muriel Pénicaud. Il ragionamento si basa sul risultato di 4 tornate elettorali recenti, a maggio e giugno: Macron ha vinto le presidenziali dopo essere arrivato in testa al primo turno e La République en Marche ha ottenuto un’ampia maggioranza alle legislative di giugno (due turni), la riforma del lavoro con le “ordinanze” era ben specificata nel programma. Per i manifestanti, al contrario, Macron non ha la legittimità di imporre una riforma che è considerata una restrizione dei diritti, perché al primo turno ha ottenuto solo il 24% dei voti e poi ha vinto ampiamente solo perché di fronte aveva Marine Le Pen e i cittadini hanno votato “contro” più che “a favore”. Per il momento, questo contrasto non è stato risolto: il governo va avanti, la partecipazione alle manifestazioni finora non è stata tale da bloccarlo. L’auspicata “convergenza delle lotte” per il momento non si è realizzata, anche se nei cortei ieri c’erano degli studenti e dei dipendenti del pubblico impiego. Persino dei poliziotti hanno rifiutato di lavorare (con un ricorso massiccio a permessi malattia), ma per ragioni di categoria. Nel corteo parigino, era presente Jean-Luc Mélenchon, che sabato spera in una prova di forza importante, a conferma della sua posizione di principale (e praticamente unico) oppositore a Macron. C’era anche Pierre Laurent, segretario del Pcf, che non ha digerito l’assenza del leader di France Insoumise alla Fête de l’Humanité lo scorso week-end. C’era anche Benoît Hamon, sfortunato candidato del Ps ora fuori dal partito, assieme ad alcuni esponenti della sinistra socialista, mentre la direzione si è limitata ad esprimere “sostegno” alle iniziative sindacali. Il corteo parigino è finito con qualche momento di scontri, la polizia ha fatto uso di lacrimogeni.