Nuove sostanze psicoattive (Nps): l’ultimo allarme droga? Sembra di sì, a giudicare dal sensazionalismo mediatico: basti pensare alla «droga-zombie», additata nel 2016 nel Regno Unito come responsabile di cannibalismo.

L’edizione 2017 della Summer School di Forum Droghe e Cnca, appena conclusa, ha cercato di offrire innanzitutto uno sguardo critico alla rappresentazione del fenomeno, per come condiziona le scelte politiche. Poiché l’allarmismo richiama la proibizione, finora l’unica risposta politica, quanto mai inefficace.

La stessa definizione di Nps fa riferimento al regime legale: sono sostanze «nuove», nel senso di non inserite, o meglio non ancora inserite, nelle tabelle delle droghe proibite dalle Convenzioni Onu. Il che dice poco dei loro effetti, ma molto delle strategie di contrasto.

Finora il «sistema di allerta rapido», a livello europeo e dei singoli stati, ha funzionato al fine di «tabellare» il più rapidamente possibile le nuove sostanze. Più corretta la definizione di designer drugs, disegnate come varianti chimiche delle principali sostanze proibite, di cui mimano gli effetti: non a caso le Nps sono anche chiamate legal highs.

La produzione pressoché inesauribile di designer drugs (ben 620 nuove sostanze segnalate in Europa solo nel 2016) richiama il gioco del gatto che dà la caccia al topo, poiché la risposta proibizionista innesca la rincorsa verso sempre nuovi composti (non ancora illegali).

In altre parole, lo strumento penale, lungi dall’essere la soluzione, è esso stesso una delle cause del fiorire delle Nps.

C’è un altro modo per inquadrare e meglio comprendere il fenomeno. Evitando la concentrazione esclusiva sulle sostanze, bensì alzando lo sguardo agli orizzonti della modernità: in specie, allo sviluppo tecnologico e all’ascesa repentina dei mercati via web.

Il progresso tecnologico è ormai rapidissimo anche in campo biomedico: si pensi alla stampa molecolare in 3d che in un futuro non lontano potrebbe farci avere direttamente a casa i farmaci di cui abbiamo bisogno. E che dunque potrebbe essere usata anche per le droghe, spingendo verso l’ideazione «personalizzata» della sostanza e il «fai da te» domestico.

Quanto ai nuovi mercati, il virtual dealer che opera sul dark web è già una realtà per le droghe: sull’esempio dei tanti venditori on line delle più svariate merci, cerca di conquistare la fiducia del cliente nella competizione virtuale, tramite un’offerta «di qualità» garantita dai giudizi degli altri compratori.

E’ vero che il più famoso mercato web delle droghe (SilkRoad) è stato chiuso, ma altri l’hanno sostituito e il gatto Silvestro della proibizione ha poche chance di sbarazzarsi del topo virtuale.

Invertire la rotta sbagliata si può. Più che rincorrere la chimica, in continua evoluzione, è opportuno guardare ai contesti di consumo delle sostanze, per rafforzare la conoscenza delle regole d’uso più sicuro a protezione dei consumatori. Molti dei quali utilizzano già forum on line per scambiarsi informazioni sulle droghe, i loro effetti, i comportamenti rischiosi da evitare.

Il sistema di allerta rapida andrebbe ridisegnato per indirizzarlo a finalità di salute pubblica, includendo nella rete di rilevazione gli interventi di riduzione del danno, in specie i servizi di drug checking.

Nei paesi europei dove il drug checking esiste, si è dimostrato efficace per stabilire una nuova fiducia fra le istituzioni sanitarie e i consumatori, ma anche per controllare i mercati: lì circolano meno sostanze adulterate.

C’è da sperare che si possa trarre qualche lezione anche per l’Italia, dove il drug checking non esiste come pratica riconosciuta e da sette anni non si discute di politica delle droghe nella sede della Conferenza Nazionale.

La documentazione della Summer School su fuoriluogo.it