La palla della (in)governabilità passa nelle mani del re, Felipe VI, alla sua prima prova di questo tipo e anche la più ingarbugliata nella storia spagnola.

A Madrid le regole per la formazione del governo sono abbastanza simili a quelle italiane. La procedura è regolata dall’art. 88 della Costituzione e dal regolamento delle camere. Ma se prima il tutto era quasi una formalità, oggi non lo è più. Il prossimo 13 gennaio si formerà il nuovo parlamento, che per prima cosa dovrà eleggere il presidente della camera il quale subito dopo dovrà compilare la lista dei gruppi parlamentari da consegnare al re per le «consultazioni regie».

Ascoltati tutti i partiti, Felipe VI dovrà indicare un nome. Il presidente incaricato si presenta alla camera per avere la fiducia della maggioranza assoluta (176 deputati). Se non ce la fa, dopo 48 ore c’è un secondo voto a maggioranza semplice (i sì devono essere più dei no).

Dalla prima votazione parte un conto alla rovescia di due mesi, terminati i quali senza fiducia a nessun presidente del consiglio, le camere sono sciolte automaticamente. A differenza dell’Italia è però possibile un governo basato sulle «astensioni», perché in Spagna vige la sfiducia costruttiva, cioè per cambiare governo serve una maggioranza assoluta che indichi un altro presidente, dunque a parte il primo voto, la «navigazione» del capo dell’esecutivo è relativamente più garantita.