Non bastavano gli scandali per il mega appalto da 100 milioni di euro finito nel dossier Mafia Capitale e quello per la parentopoli con assunzioni del personale e induzione alla corruzione per l’offerta di posti di lavoro come ricompensa per cambi di casacca al consiglio comunale di Mineo, filone che ha già portato all’avvio di un processo. Ora sul Cara di Mineo, il centro più grande d’Europa che nei piani del governo Renzi dovrebbe diventare addirittura un hotspot aprendo le porte a 7 mila migranti, si è abbattuta una nuova inchiesta giudiziaria. Secondo la Procura di Caltagirone, che da mesi lavora su più tronconi d’indagine con montagne di faldoni e decine di informative di polizia e carabinieri sulle scrivanie del procuratore capo Giuseppe Verzera e dei suoi pm, i gestori del centro di accoglienza e del coop avrebbero intascato rimborsi dallo Stato per l’accoglienza di migranti fantasma.

La “truffa dei badge” sarebbe cominciata nel 2012 e avrebbe garantito quattro anni di incassi non dovuti. Gli inquirenti quantificano il raggiro in almeno un milione di euro. Ma è solo una stima, probabile, fanno intendere in Procura, che le cifre siano maggiori. I magistrati hanno notificato sei avvisi di garanzia a funzionari e impiegati del Cara, indagati a vario titolo per i reati di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai danni dello Stato e dell’Unione. Europea.

Nel registro degli indagati sono stati iscritti Sebastiano Maccarrone, direttore del Cara; Salvo Calì, presidente Cda Sisifo, consorzio di cooperative capofila dell’Ati fino a ottobre del 2014; Giovanni Ferrera, direttore generale del Consorizo «Calatino Terra d’accoglienza»; Roberto Roccuzzo, consigliere delegato Sisifo; Cosimo Zurlo, amministratore della «Casa della solidarietà», consorzio coop dell’Ati fino da ottobre 2014 a oggi e Andromaca Varasano, contabile del nuovo Cara Mineo. Gli agenti della squadra Mobile della questura di Catania e del commissariato di Caltagirone hanno compiuto perquisizioni nel capoluogo etneo e nei comuni di Giarre, Riposto, Mineo, a Palermo, Roma, Ragusa e Matera.

Sono quattro le Procure che ormai da almeno un anno stanno raccogliendo elementi sul Cara, sotto profili differenti: Roma, Palermo, Catania e Caltagirone. Distretti che si scambiano informazioni e collaborano, partendo dall’inchiesta madre, quella sul maxi-appalto per la gestione triennale dei servizi del centro, che fu ritenuta illegittima dall’Anac di Raffaele Cantone. Nel filone catanese sarebbe coinvolto, tra gli altri, il sottosegretario alle politiche agricole Giuseppe Castiglione (Ncd), accusato di turbativa d’asta e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente insieme con Luca Odevaine, uomo chiave dell’indagine romana.

Il sistema messo in atto nella presunta truffa sui rimborsi, secondo gli inquirenti, era semplice: ai migranti condotti al Cara viene consegnato un badge che dà diritto ad usufruire dei servizi di mensa, dell’emporio e dell’ambulatorio. Il tesserino serve anche per entrare e uscire dal centro. Quando non viene utilizzato per tre giorni di fila, il badge va in allarme e parte una segnalazione che indica l’assenza del migrante dal centro.

Trascorsi altri due giorni di inattività, il badge viene automaticamente disattivato. Per i primi tre giorni di “assenza” i gestori hanno diritto comunque a richiedere alla Prefettura i 35 euro di diaria (elargiti per ogni giorno di permanenza), trascorse 72 ore s’interrompe la corresponsione del contributo. Ed è proprio qui che si anniderebbe la truffa. Per gli inquirenti le assenze che vengono automaticamente registrate dal sistema computerizzato del Cara non sarebbero state segnalate alla Prefettura che, dunque, per quattro anni avrebbe continuato a pagare diarie non dovute per migliaia di migranti fantasma.

Inoltre, il software di gestione degli ingressi non sarebbe sottoposto a controlli “esterni” e sarebbe modificabile dagli utenti. Gli investigatori però sospettano dell’altro: l’esistenza di un mercato parallelo dei badge. Tesserini magnetici di migranti fuggiti finiti nelle mani di un’organizzazione di trafficanti che agirebbe all’interno del centro.

Alcuni mesi fa un’inchiesta della Dda di Palermo ha svelato che persone vicine ai trafficanti libici sarebbero riuscite a fare entrare nel Cara di Mineo centinaia di cellule, sotto spoglia di migranti, con lo scopo di pianificare le ulteriori tappe dei viaggi verso il Nord Europa.