Nuovo colpo di scena a Tripoli, che ieri mattina si è svegliata pacificata dopo un mese di scontri tra milizie nei quartieri sud e lungo la strada verso l’aeroporto di Mitiga, costati la vita a 115 tra miliziani e civili, 11 dei quali morti nel fine settimana.

«Southern Tripoli war is over», come se fosse scoppiata la pace, titolava ieri il quotidiano online Libya Observer. Il condizionale è d’obbligo, vista l’estrema volatilità degli accordi in una situazione di guerra civile a bassa intensità e di continui cambi di fronte che si protrae dalla caduta del regime di Gheddafi nel 2011.

In ogni caso l’intesa raggiunta lunedì sera ripristina e rivede le clausole dell’accordo sul cessate il fuoco mediato dall’Onu il 4 settembre e ha avuto alcuni effetti immediati significativi: le milizie più bellicose che a fine agosto avevano invaso zone della capitale per partecipare al bottino – la Brigata al Sumud del misuratino Saleh Badi e la 7° Brigata di Tarhuna si sono ritirate. E quindi sono state rimosse le barriere di sacchi di sabbia delle zone interessate dai combattimenti consentendo ai 5 mila sfollati di far ritorno nelle loro case. In base all’intesa sono stati scarcerati i miliziani di Tarhuna fatti prigionieri.

Intanto il governo Serraj ha aumentato del 15-20% gli stipendi delle milizie accreditate mentre il parlamento di Tobruk ha approvato la legge sul referendum costituzionale e la Banca centrale parallela di Baida ha unificato i tassi di cambio con Tripoli. Ha pesato probabilmente anche la minaccia Onu di sanzioni internazionali alle milizie ribelli.