Dopo la recente sentenza della Corte suprema di Londra che impone a Shell di pagare 111 milioni di dollari alle comunità di Ejama-Ebubu in Nigeria, per le decennali fuoriuscite di petrolio dai suoi impianti, lunedì la Corte d’appello di Abuja ha detto sì alla revoca della licenza con cui la compagnia anglo-olandese avrebbe potuto operare nel blocco petrolifero Oml 11, situato nella regione di Ogoni, nel Delta del Niger, per i prossimi vent’anni.

I diritti di sfruttamento del blocco Oml (Oil Mining Lease), con 33 giacimenti di petrolio e gas di cui otto operativi, vengono così trasferiti alla Nigerian National Petroleum Company (Nnpc), la società petrolifera di stato. Fatto che, secondo il suo direttore generale Mele Kyari, rappresenta «un’enorme vittoria per il Paese, che ora può sbloccare responsabilmente le riserve che il blocco offre». Delusione per la sentenza è stata invece espressa da Shell, che ha annunciato ricorso. Shell resta inoltre oggetto di azioni legali per danni ambientali nella regione del Delta del Niger.

Il blocco Oml 11 è considerato potenzialmente il più prolifico asset di petrolio e gas in Nigeria, con una produzione giornaliera stimata in 250mila barili con tutti i suoi 33 pozzi in produzione. Il pieno sfruttamento aiuterebbe non poco l’economia nigeriana dopo l’instabilità causata dalla pandemia.

In questo contesto si inserisce la firma messa dal presidente Buhari sulla legge di riforma del settore petrolifero. Dopo vent’anni di tentativi falliti da parte di diversi governi, la legge – Petroleum Industry Act 2021 – viene considerata da Buhari «una grande vittoria» perché dovrebbe garantire un ampio controllo al governo nigeriano nella gestione delle risorse petrolifere, che da decenni costituiscono la principale causa dei conflitti etnici nel Paese.

Tuttavia non sembra una «vittoria» condivisa da tutti. Le comunità del Delta e del Sud-Est nigeriano sono già sul piede di guerra. Alhaji Mujahid Asari-Dokubo, leader di etnia Ijaw, fondatore in passato del gruppo armato Niger Delta People’s Volunteer Force. descrive la riforma come «il più grande torto che sia mai stato fatto alla regione». Spiegando che «la quota delle entrate petrolifere richiesta della regione era del 10%, ma il governo non è andato oltre il 3%». Secondo lui la nuova legge ha solo rafforzato la politica di esclusione ed espropriazione che caratterizza il rapporto tra il governo centrale e le comunità residenti nella regione, i cui abitanti da anni patiscono enormi danni ambientali e vengono spesso costretti ad abbandonare le loro terre senza alcun preavviso o consultazione.

Il petrolio e il gas – di cui la Nigeria vanta le maggiori riserve dell’Africa subsahariana – dominano l’economia della Nigeria, rappresentando circa il 90% dei proventi delle esportazioni.

La nuova legge, che in sostanza trasforma la Nnpc in una società commerciale, punta ad incrementare significativamente le entrate statali e promette sia di arginare gli alti livelli di corruzione strutturale presenti nel settore, sia di distribuire meglio la ricchezza tra le comunità residenti. Con il prezzo del petrolio che è tornato a 74 dollari al barile, dopo il crollo a 35 circa dello scorso anno, il messaggio più forte però è per gli investitori internazionali.