Ieri mattina le Filippine si sono svegliate sotto la pressione di una nuova legge dello Stato voluta dal presidente Rodrigo Duterte e che consente di schiaffare in galera sostanzialmente chi gli si oppone.

La nuova legge passata a larga maggioranza alla Camera bassa, dopo il via libera del Senato in febbraio, è stata votata come «urgente» benché il Paese abbia ben altri problemi a cominciare dalla pandemia.

La nuova legge anti terrorismo – nome buono per tutte le stagioni – serve a rendere regolari l’arresto senza giustificazione e la detenzione per 14 giorni di sospetti «terroristi», attribuzione che sarà deputata a un nuovo Consiglio antiterrorismo che dovrà dire cosa si intende con questo termine e che potrebbe addirittura, bypassando la magistratura, ordinare gli arresti.

Nel mirino chiunque proponga e partecipi – ma anche solo inciti – alla pianificazione o all’addestramento di un «attacco terroristico». Formule vaghe ma con pene da 12 anni di reclusione fino all’ergastolo oltre all’eliminazione di un rimborso in caso di errore giudiziario. Insomma una legge liberticida varata proprio nel momento in cui l’Ufficio Onu per i diritti umani di Ginevra torna sulla controversa campagna di Duterte per sradicare le droghe illegali iniziata nel 2016 e che ha portato all’uccisione di almeno 8.600 persone. Un bilancio per difetto che potrebbe essere tre volte quella cifra, come ha reso chiaro ieri un rapporto dell’Ufficio Onu che cita la «quasi impunità» per gli omicidi, continuati insieme ad altri presunti abusi durante la pandemia Covid-19. Ma a Duterte le critiche dell’Onu interessano poco. Dopo aver ricevuto dal parlamento una sorta di mandato ai pieni poteri per via della pandemia, adesso mette a punto con la nuova legge un altro modo per proseguire impunemente con le sue campagne di pulizia a 360 gradi.

Che la nuova sterzata non riguardi solo terroristi o tossici lo si evince del resto dalle parole del portavoce presidenziale Harry Roque che, in un comunicato stampa televisivo, ha detto che la libertà di parola non potrà mai essere soppressa nelle Filippine ma che non si tratta di un diritto «assoluto», un chiarimento con distinguo rivolto proprio al rapporto dell’Onu. Le cose per altro sono già andate molto avanti: la prova che la libertà di espressione è in gioco eccome la racconta la vicenda di Abs-Cbn, colosso mediatico critico con Duterte e da Duterte messo a tacere.

La Corte Suprema ha concesso alla rete di tornare a trasmettere ma pende sempre il rischio, agitato dal presidente, del rinnovo della concessione governativa che potrebbe slittare ancora e vedere alla fine una decisione negativa che farebbe saltare l’azienda che già accusa perdite secche da quando è stata oscurata il 5 maggio scorso.

C’è anche un’altra novità: Duterte in febbraio aveva comunicato a Washington l’intenzione di abrogare il Visiting Forces Agreement con gli Stati Uniti, un accordo bilaterale che facilita i rapporti militari tra i due Paesi. Ma adesso, qualcuno dice per via delle tensioni marittime con la Cina, ha per ora sospeso l’iter che lo dovrebbe concludere. Fino al prossimo colpo di teatro.