«Abbiano vissuto periodi più difficili di questi. Supereremo questa ondata di terrorismo grazie alla nostra determinazione, alla responsabilità e alla coesione nazionale». Benyamin Netanyahu non ha dubbi sulla linea portata avanti sino ad oggi. Resterà quella del pugno di ferro. Il premier israeliano non ha compreso che più si farà pesante e sanguinosa la repressione e più gli sfuggirà di mano la situazione. Non ha capito che i palestinesi non accettano la normalizzazione dell’occupazione israeliana di Gerusalemme Est e della Cisgiordania. Rifiutano che i coloni israeliani possano svolgere nei territori che occupano illegalmente quell’esistenza normale che a loro viene negata sotto il regime militare. Gli omicidi di quattro israeliani compiuti da palestinesi nell’ultima settimana sono davanti agli occhi di tutti, sono stati raccontati e ampiamente condannati. Invece meno spazio trovano gli omicidi e le uccisioni di palestinesi. Chi ricorda la morte orribile del piccolo Ali Dawabsha, bruciato vivo poco più di due mesi fa, e che i suoi assassini sono sempre liberi? I palestinesi autori delle uccisioni dei quattro cittadini israeliani al contrario sono stati catturati o uccisi. In queste ore in cui i governi occidentali si stringono intorno al primo ministro Netanyahu esprimendo solidarietà a Israele e alle famiglie delle vittime degli ultimi attentati, dovrebbero anche domandarsi quale strada politica, oltre l’inutile “negoziare per negoziare” che va avanti da 22 anni, è stata lasciata ai palestinesi per raggiungere la libertà e l’indipendenza.

 

Anche per queste ragioni il presidente dell’Anp Abu Mazen appare più isolato dopo l’appello alla fine delle proteste che ha lanciato due giorni fa e che ha ribadito ieri in una intervista al quotidiano Haaretz. Quasi tutte le organizzazioni palestinesi, a partire dalla sinistra guidata dal Fronte Popolare, hanno ignorato le sue parole e continuano a mobilitare la popolazione contro coloni e soldati israeliani.

 

Si moltiplicano gli attacchi contro i coloni israeliani che percorrono le strade della Cisgiordania e anche le rappresaglie e le aggressioni dei coloni contro i villaggi palestinesi, troppo spesso ignorate o sottovalutate. E le azioni individuali di palestinesi armati di coltello si allargano al territorio israeliano. Un 17enne di Yatta, Amjad Jundi, ha attaccato a Kiryat Gat (a est di Ashqelon) un militare provando a prendergli l’arma ma è stato ucciso. Poco dopo un altro giovane di Hebron ha colpito alcuni israeliani a Petach Tikva ed è stato ferito dal fuoco di agenti presenti in zona. Una dinamica simile all’attacco avvenuto ieri mattina alla Porta dei Leoni, uno degli ingressi della città vecchia di Gerusalemme, dove una ragazza di 18 anni, Shuroq Dwayat, è stata ferita da un colono che aveva tentato di colpire con un coltello. Poco dopo ingenti forze di polizia hanno lanciato un raid nel sobborgo di Sur Baher per perquisire l’abitazione della giovane innescando violente proteste e incidenti. Una colona, Rivi Ohayon, dell’insediamento di Tekoa (a sud di Betlemme) ha denunciato alla polizia di aver subito un tentativo di linciaggio di parte di gruppi di giovani palestinesi che, nei pressi di Beit Sahour, avevano bloccato e danneggiato a colpi di pietra la sua automobile (la donna è rimasta ferita). Il fuoco dei soldati israeliani ha ferito due palestinesi.

 

Per tutto il giorno sono girate voci dell’uccisione da parte dei soldati israeliani, vicino Ramallah, di uno studente palestinese ma in serata il giovane era ancora vivo anche se gravemente ferito. In rete è circolato un filmato girato da una tv locale proprio durante gli scontri che hanno coinvolto lo studente ferito e che mostra militari israeliani che si fingono palestinesi per infiltrarsi fra di loro. All’inizio della sequenza si nota un gruppo di palestinesi col volto coperto che lanciano sassi contro un’unità dell’esercito e scandire slogan. A un certo punto questi “palestinesi” si rivelando degli infiltrati e si scagliano contro quelli che sembravano essere loro compagni e li trascinano a forza verso i soldati. Subito dopo i militari infieriscono su un dimostrante – a terra, isolato – e lo prendono a calci ripetutamente.