“Abbiamo già chiesto e ottenuto la riapertura dell’inchiesta sulla morte di Emanuele Scieri”. Dalla voce di Sandro Crini, procuratore capo a Pisa, una notizia che, seppur attesa, non può non far piacere. All’indomani del j’accuse della commissione parlamentare di inchiesta sull’omicidio del giovane parà di leva alla vigilia del Ferragosto del 1999, l’esperto magistrato requirente conferma che si tornerà a lavorare su quelle tragiche giornate:

“Quello della commissione d’inchiesta parlamentare sul caso è un lavoro serio e approfondito – spiega Crini – che certamente è meritevole di essere ripreso. Il lavoro della commissione è stato importante e abbiamo deciso di approfondirlo chiedendo la riapertura di un’indagine per omicidio. Il giudice per le indagini preliminari ha accolto la nostra richiesta. Ma non intendo dire nulla sul contenuto delle attività investigative che abbiamo già avviato”.

Trincerato dietro il segreto di indagine, il procuratore conferma solo di avere avuto negli ultimi tempi una “interlocuzione con la commissione di inchiesta”, e di avere ricevuto da giorni l’istanza di riapertura delle indagini, alla quale stato dato subito seguito. Al tempo stesso, la commissione parlamentare proseguirà il suo lavoro, e periodicamente invierà alla procura di Pisa gli atti raccolti, al pari degli altri documenti già in viaggio verso la città toscana. “Ben venga il lavoro dei commissari – ha concluso Crini – perché in questa fase ci stiamo muovendo come se fossimo due autorità giudiziarie distinte. Il lavoro fatto finora dal Parlamento è stato imponente, e meritevole di interesse da parte nostra”.

Su quanto accadde a cavallo fra il 13 e il 16 agosto 1999 interviene anche Francesco Loi, che dopo la tragedia diventò comandante della Folgore, e si distinse per attivismo nel cercare di stroncare il fenomeno del nonnismo. “La questione riguardava un momento particolarmente difficile per il controllo – osserva l’ex comandante dei parà – i ragazzi erano appena arrivati in un contesto per loro nuovo, e durante un periodo di licenze.

Nel sistema di accertamento e vigilanza può esserci stata una falla”. A seguire, una difesa d’ufficio: “Il corpo è stato trovato in un luogo appartato, non di passaggio, a distanza di alcuni giorni dalla sua morte. Nessuno finora ha saputo dire cosa poteva essere successo. Ci sono state diverse ipotesi, tutte rimaste tali finora. La magistratura potrà verificare se è possibile una spiegazione”. In realtà il cadavere del giovane soldato di leva, che agonizzò per ore dopo essere precipitato dalla torre di asciugamento dei paracadute, era a soli cinque metri del muro di cinta della caserma Gamerra. E, per quanto parzialmente occultato dai suoi assassini, appare impossibile che il picchetto armato ordinario – Pao – non si fosse accorto di niente. Per tre lunghissimi giorni.