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L’intuizione di Marc Bloch alla base del suo celebre saggio sulle guerra e le false notizie è che nello stato di eccezione lo studioso possa trovare un campo favorevole per investigare le «rappresentazioni collettive» che permettono la diffusione di miti e leggende. Di questo studio, pubblicato nel 1921 con il titolo Riflessioni di uno storico sulle false notizie della guerra, gli storici hanno evidenziato l’importanza metodologica per la produzione successiva dello stesso Bloch e, più in generale, per le generazioni di studiosi di storia sociale e culturale.

Francesco Mores ha curato una nuova edizione del testo per Castelvecchi (Storia psicologica della prima guerra mondiale, pp. 114, euro 14,50) affiancando alla riflessione dello storico francese una brochure del 1915 a firma di Joseph Bédier: Crimini tedeschi provati con testimonianze tedesche. Si tratta di un testo poco noto, di carattere propagandistico, ma come spiega Mores molto importante per comprendere il contesto culturale in cui sono nate le Riflessioni di uno storico. A proposito di Bédier, docente di Letteratura francese medioevale al Collège de France, è stata sottolineata l’influenza che le sue ricerche sulla trasmissione delle leggende popolari tra XII e XIII secolo hanno avuto sulla scrittura della Società feudale.

Nel caso di Bédier, come si è detto, siamo di fronte a un testo militante (partorito all’interno del Comité d’études et documents sur la guerre ideato da Emile Durkheim) che aveva lo scopo di denunciare con le fonti tedesche i crimini commessi dall’esercito nei confronti delle popolazioni. Un libello propagandistico, dunque, in linea con altre pubblicazioni del periodo come l’opuscolo di Passelecq, Le second livre blanc allemand del 1916 e quello del sociologo belga Fernand van Langenhove, Comment naît un cycle des légendes. Francs-tireurs et atrocités en Belgique: due testi pensati in risposta alla dura campagna di stampa del governo tedesco. Secondo le autorità germaniche, infatti, le atrocità compiute durante l’occupazione erano la reazione ad altrettante atrocità belghe. Il libello Langenhove, che sappiamo rientrare tra le letture di Bloch, interpretava attraverso fonti tedesche la presenza di franchi tiratori belgi alla stregua di un ciclo leggendario.

Le Riflessioni di uno storico nascono in perfetta continuità con questo tipo di analisi sulla psicologia collettiva e sulla diffusione di racconti in un contesto segnato dalla censura. Ugualmente – aggiunge Mores – si possono trovare forti affinità con la brochure di Bédier, particolarmente interessante sia dal punto di vista contenutistico, per la denuncia dei meccanismi di brutalizzazione, sia da quello metodologico come esercizio di critica delle fonti (ancora una volta i quaderni di guerra requisiti ai soldati tedeschi). Proprio come Bédier, anche Bloch si interroga sulla relazione tra testimonianza e autenticità e sugli effetti che determinati sostrati culturali – dall’epica alla propaganda contro il nemico – hanno avuto nell’indirizzare le credenze e i comportamenti concreti dei soldati. A partire dell’episodio dell’interrogatorio del prigioniero di Brema (Brême in francese) da parte dello stesso Bloch e della successiva diffusione della voce che fosse una spia tedesca «in sonno» nella vicina Braisne, lo storico esamina come un fraintendimento (la modificazione di una parola) abbia potuto alimentare una notizia falsa e, nello stesso tempo, rivelatrice di una rappresentazione collettiva, quella del tradimento, ben radicata nell’esercito francese. Quindi mette a confronto il ruolo svolto dai convogli e dalle cucine nella trasmissione della falsa notizia con quello dei trovatori e degli ambulanti del XII secolo.
Come in un moderno medioevo, la guerra svela i meccanismi psicologici collettivi che l’alimentano. La «lezione» del Bédier medievista viene accostata agli studi più recenti di psicologia per scrivere una pagina meravigliosa di storia contemporanea.