La Tunisia ha festeggiato ieri il terzo anniversario della rivoluzione che aveva portato alla caduta di Ben Ali. Una celebrazione senza grande euforia. Infatti, sebbene la rivoluzione tunisina continui a rappresentare un esperimento positivo nella fuoriuscita dalla dittatura, gli obiettivi della rivoluzione sono ben lungi dall’essere realizzati.

L’anniversario ha suscitato umori diversi nella popolazione e nella stampa: cauto ottimismo, si è evitato il peggio, ma anche disillusione.

La maggiore delusione è quella dei giovani che più avevano sperato che la rivoluzione rappresentasse la soluzione dei loro problemi. Così non è stato e per questo hanno manifestato la loro rabbia in varie zone del paese arrivando anche a scontri con le forze di sicurezza.

Il segnale più positivo è comunque rappresentato dalla fine del governo guidato dagli islamisti di Ennahdha che hanno portato al paese tre anni di crisi politica, economica e sociale, dimostrando incapacità di governare e di dare qualche soluzione ai problemi. Anzi, alla crisi si è aggiunta la violenza con gli assassinii di politici dell’opposizione rimasti impuniti e la nascita di gruppi jihadisti.

Ennanhdha, che aveva vinto le elezioni dell’Assemblea costituente, il 23 ottobre 2011, con i suoi voti (98 su 217) ha paralizzato per mesi i lavori della costituzione, che doveva essere varata il 23 ottobre 2012. Dopo tanti ritardi, la nuova «road map» stabilita in base al dialogo nazionale cui hanno partecipato tutti i partiti, aveva fatto coincidere la presentazione della costituzione con l’anniversario della rivoluzione. Ancora una volta la scadenza non è stata rispettata, mancano all’esame circa un terzo dei 146 articoli di cui è composta la carta.

Tuttavia rispetto alle prime versioni volute dagli islamisti si è trovato il consenso su posizioni più avanzate, effetto del dialogo ma probabilmente anche della destituzione di Mursi in Egitto. I timori che anche in Tunisia si potesse realizzare un golpe, nonostante la debolezza dell’esercito in confronto a quello egiziano, non erano per nulla nascosti. «I tempi per un colpo di stato sono passati, perché c’è un popolo per difendere la sua rivoluzione», ha detto ieri davanti ai suoi sostenitori Ajmi Lourimi, dirigente di Ennahdha.

A difendere gli obiettivi della rivoluzione sono soprattutto le donne protagoniste del 14 gennaio di tre anni fa, che sono riuscite ad evitare l’aberrazione islamista che voleva i diritti delle donne «complementari» a quelli dell’uomo. L’articolo 20, approvato, infatti recita: «I cittadini e le cittadine sono uguali in diritti e doveri. Sono uguali davanti alla legge senza nessuna discriminazione».

Ahlem Belhadj, ex presidente dell’Associazione tunisina delle donne democratiche (Atfd), ha ammesso che è una vittoria anche se «non abbiamo ottenuto quello che vogliamo, ma abbiamo evitato il peggio, grazie alla resistenza della società civile». Quello che lamentano le femministe è che l’articolo 20 si riferisce all’uguaglianza nella sfera pubblica e non in quella privata. Attesa era anche l’approvazione dell’articolo 45: «Lo stato garantisce i diritti acquisiti della donna e si adopera per sostenerli e svilupparli… Opera per la realizzazione della parità nelle assemblee elette. Lo stato prende le disposizioni necessarie per l’eliminazione della violenza esercitata nei confronti delle donne». Sull’articolo considerato una vittoria dai democratici, c’era stato un braccio di ferro con gli islamisti. Dopo l’approvazione mentre molti deputati cantavano l’inno nazionale si scatenava l’ira di Mounia Brahim di Ennahdha contro l’introduzione del termine «parità» discriminante rispetto a «uguaglianza». Nell’articolo che riguarda le libertà invece c’è il limite imposto dal rispetto della «moralità pubblica» che potrebbe essere uno strumento nelle mani degli islamisti.

Altro scontro riguarda la nomina dei giudici, l’elezione del presidente, il ruolo del capo del governo.

Ieri comunque le varie componenti del puzzle tunisino hanno celebrato la rivoluzione separatamente, la maggior parte si sono alternate nella centrale avenue Burghiba che, soprattutto nel tratto davanti al ministero dell’interno, era stato teatro delle manifestazioni, e anche degli scontri, tre anni fa.

L’alza bandiera davanti alla Kasbah, il palazzo del governo, ha invece segnato il passaggio delle consegne dal governo islamista di Ali Larayedh a quello di tecnici di Mehdi Jomaa, che dovrà essere formato entro una settimana e guidare il paese fino alle elezioni che si terranno entro l’anno.