Chi si affannava a descrivere Benyamin Netanyahu come un “moderato” prigioniero dell’ultradestra, in particolare del partito Casa Ebraica, è stato definitivamente smentito. Mai come in questi ultimi giorni l’alleanza tra il premier israeliano e il partito “Casa ebraica” si sta dimostrando ideologica e non solo tattica, quindi non legata alla sopravvivenza del governo. Netanyahu e gli ultranazionalisti hanno attuato nelle ultime ore una ritorsione congiunta contro il nuovo governo palestinese di unità nazionale sostenuto dal partito Fatah e dal movimento islamico Hamas. Nella notte tra mercoledì e giovedì il ministro dell’edilizia Uri Ariel ha reso noto il bando per la costruzione di 1.100 appartamenti per coloni in Cisgiordania e 400 a Gerusalemme Est. Qualche ora dopo Netanyahu ha scongelato progetti per la costruzione di altri 1800 alloggi. Ariel ha descritto la nuova colata di cemento come la «giusta risposta sionista alla formazione del governo palestinese del terrore». I palestinesi non sono rimasti a guardare. «Il governo israeliano sta celebrando i 47 anni di occupazione e di crimini di guerra con l’approvazione di migliaia di nuove abitazioni nello Stato di Palestina», ha avvertito il caponegoziatore dell’Olp Saeb Erekat.

In casa palestinese si teme che Netanyahu stia preparando un ulteriore aumento di nuovi insediamenti, l’annessione unilaterale di almeno di una parte dei Territori occupati e il trasferimento forzato di popolazione. Erekat perciò propone di bandire i prodotti delle colonie e di non finanziare le imprese coinvolte nell’occupazione israeliana. Hanan Ashrawi, storica portavoce palestinese, guarda all’Onu. L’Olp, ha annunciato, ricorrerà al Consiglio di sicurezza e all’Assemblea generale delle Nazioni Unite contro l’intenzione di Israele di costruire altre migliaia di case per i coloni insediati nei Territori occupati. «Quest’azione – ha spiegato Ashrawi – è il mezzo necessario per porre un freno a queste gravi violazioni e mettere Israele davanti alle proprie responsabilità». I vertici palestinesi tuttavia non fanno riferimento all’adesione dello Stato di Palestina alle corti internazionali, la strada più semplice per denunciare l’occupazione israeliana. Restano in attesa di capire cosa accadrà sul terreno nel prossimo periodo e di vedere se gli Usa confermeranno le posizioni espresse in questi ultimi giorni.

L’annuncio della costruzione di altre migliaia di nuove case per i coloni è anche una reazione israeliana alla decisione degli Stati Uniti di riconoscere, persino prima dell’Europa e delle Nazioni Unite, il governo formato dal premier dell’Anp Rami Hamdallah su incarico del presidente Abu Mazen. E Washington non ha fatto attendere la sua replica. Gli Stati Uniti si oppongono alla costruzione di nuove case negli insediamenti colonici e a questo tipo di annunci, ha detto ieri l’ambasciatore americano a Tel Aviv, Dan Shapiro, intervistato dalla radio militare israeliana. «Ci opponiamo alla costruzione nelle colonie e a questo tipo di annunci. E questo – ha spiegato riferendosi a quanto comunicato dal ministro dell’edilizia Uri Ariel – sarebbe accaduto sia con o senza il consenso sul nuovo governo palestinese». In realtà gli Stati Uniti non si oppongono alla colonizzazione, la condannano a parole e poi non fanno nulla di concreto per fermarla.

Contro l’offensiva di dichiarazioni anti-Usa e la forte ripresa della colonizzazione si è schierata, sebbene da destra, la negoziatrice e ministro per la giustizia Tzipi Livni. «E’ un errore diplomatico – ha avvertito – che ci renderà più difficile mobilitare la comunità internazionale contro Hamas». Secondo Livni il partito “Casa ebraica” di cui fa parte il ministro Uri Ariel, ha preso un’iniziativa «punitiva per gli stessi cittadini di Israele». Ma Netanyahu va avanti come un ariete e ora guarda alla “preghiera per la pace” organizzata per domenica sera a Roma da papa Francesco con il presidente palestinese Abu Mazen e il capo dello stato uscente di Israele Shimon Peres. Il governo Netanyahu ieri è stato impegnato in consultazioni sull’invito di Bergoglio che a fine maggio ha visitato la Terra Santa. Il quotidiano Maariv ha riferito dell’incertezza che regna nell’esecutivo sulla opportunità di un incontro di Peres con Abu Mazen. Netanyahu con ogni probabilità preferisce l’annullamento di un evento dal quale è stato escluso e che potrebbe concludersi con ulteriori riconoscimenti per il presidente palestinese. Ma non può fermarlo, un ‘forfait’ all’ultimo istante metterebbe Israele in cattiva luce.