Sembra facile mettere insieme una coalizione capace di superare il fatidico 37%, ma non lo è per niente. Per poter correre con qualche solida possibilità di sfondare al primo turno, il povero Silvio deve calarsi di nuovo nella palude dalla quale sperava di essersi liberato per sempre: quella dei ricatti, delle richieste esose, della rissosità permanente tra forze piccole ma determinanti. A 24 ore dal gran passo di Pierferdy, la mappa della galassia centrista rivela quanto sarà tosto, per il sovrano, governarla.

La mossa di Casini era in una certa misura obbligata. L’uomo sa di avere una sola carta da giocare, la costruzione di un polo centrista di forza tale da risultare alleato e non suddito del cavaliere. Dunque sbriga le polemiche d’ordinanza con un secco: «Non chiedo abiure né sono disposto a farle». Ma assemblare le anime del centrismo italiano non è un gioco. I Popolari puntano i piedi, chi perché della monarchia di Arcore davvero non vuole saperne (Dellai e Olivero, vicinissimi al salto sull’altra sponda), chi perché ancora deve decidere cosa fare (Mario Mauro).

Neppure con Alfano la strada è tutta in discesa. Convinto di essere il più forte tra i deboli, Angelino mira all’annessione secca: tutti nel Nuovo centro destra e il gioco è fatto. Per Casini vorrebbe dire inchinarsi al primato dell’ex delfino: meglio dunque un cartello nuovo. La diatriba si svolge sotto gli occhi per nulla disinteressati di re Silvio. A lui come si chiamerà l’eventuale listone centrista importa pochissimo. Quel che gli preme è che non lo si faccia affatto, e che Casini entri buono buono nella lista di Fi. Altrimenti c’è il rischio che i coalizzati si portino a casa una sessantina di deputati, si rivelino determinanti e precipitino il cavaliere nell’incubo già vissuto, prima con lo stesso Casini e poi con Fini negli anni di governo.

Allo già spinoso problema si somma poi la pretesa alfaniana di imporre le primarie. Come dire: far rientrare dalla finestra quelle preferenze che Berlusconi aborre proprio perché avvantaggerebbero gli infidi alleati. Perché al fondo, l’idea fissa di Casini e di Alfano resta quella di raccogliere l’eredità politica in termini di voti sonanti di un Berlusconi che non è riuscito a preparare uno straccio di successione. Nel Ncd c’è chi lo dice chiaramente: «Se il tribunale di sorveglianza decidesse che Berlusconi deve scontare la condanna ai domiciliari, lanceremmo subito l’opa su Fi».

Insomma, i soci contraenti arrivano alla nuova alleanza pieni di retropensieri e strategie contrastanti. La stessa eventualità di votare nel 2014 resta un sospeso tutt’altro che risolto: Berlusconi vuole evitare le elezioni fino al 2015 perché ha bisogno di tempo per recuperare consensi e perché spera che si appanni la stella di Renzi; i centristi, dal canto loro, iniziano a pensare che il tempo possa finire per logorarli.

La data delle elezioni rimane un’incognita legata a troppe variabili perché si possano azzardare previsioni certe. La prima, tuttavia, potrebbe arrivare a risoluzione oggi stesso. L’ufficio di presidenza deve decidere sulla eventuale costituzione del Senato come parte civile nel procedimento contro Berlusconi per la compravendita dei senatori, in particolare di Sergio De Gregorio, nei mesi dell’ultimo governo Prodi. Il Pd voterà a favore, come Sel e Sc. Fi, Lega e Ncd contro. Dando per scontato il no del rappresentante dell’Udc, potrebbe finire in parità: 9 a 9. La decisione a quel punto spetterebbe al presidente Grasso. Una scelta difficile: l’imputato ha già fatto sapere che un nuovo schiaffo, dopo la decadenza, sarebbe inaccettabile.