Anche le flotte giapponesi e sud coreane avrebbero violato la zona di difesa aerea che Pechino, nello scorso week end, ha stabilito intorno alle isole contese con il Giappone. Dopo i bombardieri americani B52, dunque, è il turno di altri alleati di Washington rendere sempre più tesa la situazione nell’area. Pechino ha chiesto al Giappone di revocare la sua zona di difesa aerea: «lo aspettiamo da 44 anni» hanno detto i militari cinesi, con riferimento al 1969 anno in cui il Giappone ha istituito la propria zona di sovranità aerea, che combacia per larghi tratti con quella introdotta dalla Cina alcuni giorni fa.
Ridurre però tutto quanto sta accadendo in Asia ad uno scontro tra Cina e Giappone sulle isole contese (per quanto strategiche in termini di rotte commerciali, pescato e presenza di idrocarburi) o ignorare la strategia americana nell’area – come sostenuto da chi ha una visione univoca di quanto accade in Asia – ritenendo tutto quanto sta accadendo come frutto delle presunte tendenze imperialiste della Cina, appare fuorviante. Come specificato da Obama in diverse occasioni pubbliche e in particolare durante un discorso programmatico pronunciato in Australia nel 2011, «gli Stati Uniti giocheranno un ruolo importante in quest’area, perché siamo una potenza del Pacifico». Entro il 2020 il 60 percento delle forze navali americane stazioneranno in Asia. Non considerare questo dato, significa non poter analizzare tutto quanto è in gioco in questa parte del mondo. Come gli Stati Uniti hanno pensato di rendere pratica la propria strategia, è molto chiaro. Il «pivot» asiatico come è definito l’intento geopolitico di Washington, avviene attraverso l’aumento dei militari statunitensi nell’area e attraverso quella strategia umanitaria resa nota da Hillary Clinton durante un suo discorso – quando ancora era Segretario di Stato – in Mongolia nel 2012: «il cuore della nostra strategia in Asia è il nostro sostegno alla democrazia e ai diritti umani, valori che parlano alla dignità di ogni essere umano». All’epoca il Washington Post aveva osservato che «anche senza menzionare la Cina, Clinton ha avvertito che il modello cinese di capitalismo autoritario non può essere sostenuto». Accordi economici, militari, sostegno ai «diritti umani» con il chiaro intento di colpire gli interessi cinesi nell’area e attrarre a sé le nazioni emergenti (leggi mercati, risorse): questo l’obiettivo del pivot asiatico di Obama e degli Stati Uniti, che attraverso l’operazione economica più rilevante, ovvero l’accordo economico Trans Pacific Partnership tenta di fare fuori proprio l’alleato- nemico cinese. La partita dunque è su più fronti: quello militare, economico e politico, con la Cina che sentendo il fiato sul collo di un vero e proprio accerchiamento militare statunitense, è corsa ai ripari. Da un lato ha provato a rinsaldare rapporti commerciali con la Corea del Sud, allentando anche la propria stretta alleanza con la Corea del Nord e il regime di Pyongyang, come dimostrato in occasione dell’ultima crisi coreana, dall’altro come in altre zone del mondo – in Africa ad esempio – ha provato a stringere accordi con i singoli paesi, come Vietnam Birmania e Cambogia, fornendo dighe e infrastrutture in cambio di risorse e via libera alle proprie aziende che hanno impiantato fabbriche in quei paesi.
Una risposta era logicamente prevedibile anche da un punto di vista militare e l’affaire delle isole offriva lo spunto adatto per ribadire la fermezza pechinese riguardo gli equilibri dell’area. Inoltre insieme all’istituzione della zona di identificazione di difesa aerea, ieri la Cina ha messo in mare la sua portaerei Lianoning, la prima a passare attraverso lo stretto di Taiwan «per una missione di addestramento nel mar cinese meridionale», hanno specificato da Pechino. La nave è entrata nello stretto di Taiwan ieri pomeriggio, «dopo aver lasciato il porto di Qingdao nella regione dello Shandong scortata da due cacciatorpediniere missilistici, Shenyang e Shijiazhuang, e due fregate missilistiche, la Yantai e Weifang». Non sono mancate da parte di Pechino le risposte alle incursioni giapponesi e sud coreane (con Seul – come con Tokyo – esistono del resto delle isole contese: si tratta delle Suyan per i cinesi, le Ieodo per i coreani).
«Il Giappone incolpa sempre gli altri ma non esamina il suo comportamento» ha detto la portavoce del ministero degli esteri cinese, «se vogliono revocata la nostra zona di difesa, allora chiediamo che il Giappone prima revochi la propria zona di identificazione di difesa aerea».