«Il diritto allo studio e l’accesso all’università sono l’ultimo motore per risollevare il Paese. È il numero chiuso che ha impoverito i nostri atenei producendo la precarietà e la disoccupazione dei laureati, non viceversa: dobbiamo tornare ad essere un modello di apertura come siamo storicamente cambiando la legge 264 del 1999 all’origine di tutto. Che un ministro possa decidere se le università sono o meno a numero chiuso è per noi un pericolo per la democrazia. Per noi va annullato il numero chiuso in tutti i corsi». La battaglia della Statale di Milano – dopo la sentenza del Tar di giovedì che ha cancellato i test di ingresso per i corsi a numero programmato nelle discipline umanistiche, ieri il rettore Vago ha annunciato ricorso – vede come protagonista Michele Bonetti, da anni avvocato dell’Unione degli universitari.

Avvocato Bonetti, partiamo dall’attualità. Il rettore della Statale di Milano Gianluca Vago annuncia ricorso d’urgenza al Consiglio di Stato sostenendo che «da una parte il Tar dice di prendere tutti gli studenti ma dall’altra, secondo la normativa 240 sull’accreditamento, dovrei assumere docenti per far partire i corsi» motivo stesso della delibera per cui ha deciso i test d’ingresso: la carenza di docenti.

Michele Bonetti, avvocato dell'Udu
Sbaglia e racconta una balla giuridica. Il giudizio del Tar che permetterà a mille studenti della Statale di non fare il test d’ingresso costoso e con speculazioni private – vogliamo un chiarimento formale su questo punto: l’università deve risarcire immediatamente queste somme – è espresso in maniera inequivocabile: il decreto sull’accreditamento presentato dalla Giannini nel suo ultimo giorno da ministro e poi firmato dalla Fedeli è sospeso. In più la legge prevedeva già una deroga annuale per far partire i corsi anche senza rispettare i criteri sul rapporto studenti-docenti: sono stati impugnati anche i decreti ministeriali seguiti alla legge 240».

Lei e l’Udu però avete altri ricorsi pendenti in altri atenei. Si può sperare che si arrivi ad un giudizio di costituzionalità della legge?
I giudizi sono in fieri a l’Aquila, a Catania e a Firenze e coinvolgono circa 50mila studenti matricole, compresi i 18enni che si sono spostati verso atenei che non prevedono i test di ingresso. Nel ricorso sulla delibera del Senato accademico della Statale avevo espresso come subordinata la richiesta che in caso di mancato accoglimento il Tar di Roma promuovessero un giudizio di costituzionalità. Non escludo che lo faccia in futuro. Noi abbiamo sempre cercato di evitare i ricorsi facendo un’azione preventiva ma i rettori non ci hanno ascoltato. Speriamo lo facciano ora (l’Udu ieri ha chiesto al rettore il ritiro del ricorso e ha chiesto al ministro Fedeli di aprire un tavolo tecnico, ndr).

I ricorsi riguardano le facoltà umanistiche ma lei e l’Udu criticate l’intero modello universitario attuale.
Sì, se il numero chiuso o programmato può avere un senso per medicina, per le altre facoltà sta provocando danni incalcolabili. Così come il sistema di accreditamento: i finanziamenti del ministero agli atenei sono basati sul numero dei laureati in corso e così i docenti sono portati a garantire questi standard a scapito totale della preparazione: la selezione in itinere è assente così come gli abbandoni. In questo modo abbiamo un imbuto chiuso in entrata e una elite impreparata in uscita. Non vorrei che si sottovalutasse come ormai per una famiglia anche non ricca costi di meno mandare il proprio figlio a studiare medicina od odontoiatria in Romania e Bulgaria rispetto a Parma o Pavia. E nel frattempo i posti riservati per legge agli studenti extracomunitari rimangono sempre vuoti perché non siamo più attrattivi e perdiamo cervelli prima che si formino.

È ancora possibile cambiare le cose? Qual è la vostra ricetta per rilanciare l’università in Italia?
La legge 264 del 1999 è stata accettata anche dai governi di centrosinistra senza battere ciglio: per questo siamo arrivati alla decisione della Statale e di altri atenei di introdurre i test di ingresso perfino nelle facoltà umanistiche. Anche il M5s pare essere per il numero programmato nella sua versione francese. Io invece penso che abbiamo bisogno di una università la più aperta possibile su cui investire fortemente per alzare il numero di laureati che in Italia è ormai bassissimo costruendo poli che creino anche indotti economici. Bisogna rivoltare l’idea che nelle università ci siano posti solo per chi troverà lavoro: alziamo il livello di istruzione in modo forte e inventeremo anche nuove professioni e tanti brevetti, cambiando il mondo del lavoro e tutta la società.