Per la prima volta in calo il numero di persone positive, ma diminuiscono anche i tamponi. Le Regioni scalpitano e non si escludono riaperture differenziate. La reazione dei medici delle Rsa: «Anche noi abbiamo paura di ammalarci».

LE NUOVE VITTIME del Coronavirus sono 454, 21 più del giorno precedente e 24114 in totale. I nuovi casi positivi invece sono in netto calo, 2256 ieri contro i 3047 del giorno precedente. I dati vanno valutato anche alla luce del numero di tamponi effettuati, che ieri è stato di 41 mila unità, ventimila in meno rispetto ai massimi dei giorni precedenti. Ma nei dati comunicati ieri nella conferenza stampa della Protezione Civile, che ora si tiene due volte a settimana, bisogna stare attenti ai segni «più» e «meno». Dal novero delle persone attualmente positive, oltre ai deceduti escono 1822 persone dichiarate «guarite» dal capo della Protezione Civile Angelo Borrelli (anche se molte di loro sono state dimesse dagli ospedali lombardi senza essere ancora negative). Dunque, conti alla mano ieri è stato il primo giorno dall’inizio dell’epidemia in cui le persone positive diminuiscono in assoluto, fermandosi a quota 108 mila. Cala ancora il numero dei ricoverati: -2,3% in terapia intensiva e -0,5% nei reparti ordinari.

UN TERZO CIRCA dei nuovi casi è stato registrato in Lombardia, dove si sono fatti poco più di 6 mila tamponi, gli stessi del Lazio e circa mille in più del Veneto. Anche in Piemonte il dato di ieri è molto migliore di quello di domenica: 293 nuovi casi positivi contro i 563 (quasi il doppio) di 24 ore prima. Praticamente identico il numero di decessi nelle due giornate, 74 contro 77. Il decorso della malattia è piuttosto lungo, e questo spiega perché il numero delle vittime è l’ultimo a calare. Lo prova la vicenda della coppia di turisti cinesi che risultò positiva allo Spallanzani di Roma il 30 gennaio: sono stati dimessi solo ieri, a quasi tre mesi di distanza, dopo l’ultimo periodo di riabilitazione trascorso all’ospedale San Filippo Neri di Roma.

NON SI PLACA invece la polemica intorno alla gestione delle residenze per anziani, o Rsa, soprattutto in Lombardia. Mentre al Pio Albergo Trivulzio stanno emergendo le responsabilità di chi gestiva la struttura, in altre residenze sono i medici a attaccare le istituzioni. «Sapevamo che era una questione di tempo ma non ci spieghiamo come sia stato possibile che nessuna istituzione abbia riflettuto sul fatto che le Rsa sono un concentrato di popolazione a rischio», hanno scritto in una lettera aperta i nove medici che lavorano nella Rsa della Fondazione Castellini a Melegnano, nel milanese, dove sono ospitate 365 persone. «Dove erano le istituzioni quando chiedevamo tamponi che non ci venivano dati se non col contagocce?», scrivono. «Siamo stanchi per il duro lavoro e mortificati per la scarsa considerazione – concludono – e anche noi abbiamo paura di ammalarci».

ANCHE SULLA BASE dei dati piuttosto positivi di oggi, diverse Regioni scalpitano per riaprire. C’è il pericolo che ciascuna si faccia il suo calendario di riaperture, come se il virus non potesse attraversare i confini regionali e approfittare di ogni falla per tornare a espandersi. Gli esperti però non si esprimono sul miglior approccio alla «fase 2». «Se sia più razionale una riapertura differenziata o una generalizzata questo non è una cosa che mi sento di commentare», spiega Luca Richeldi, pneumologo del Gemelli di Roma e membro del Comitato tecnico scientifico oggi al fianco di Borrelli. «Una cosa sono i modelli in evoluzione, poi ci sono i tessuti socio-economici e poi la necessità di mobilità tra le Regioni. Possiamo dire che non si può escludere una riapertura diversificata».

RICHELDI ha fatto anche il punto sulle nuove terapie. A proposito della plasmaterapia, cioè l’iniezione di anticorpi dei pazienti guariti in quelli malati, «per ora è una delle speranze nel trattamento di questa malattia – ha detto – a breve avremo risposte più confortanti e più sicure dagli studi». Sull’uso degli anti-coagulanti per prevenire le trombo-embolie osservate in molti pazienti, ha sottolineato il ruolo dell’Agenzia del Farmaco: «L’Aifa è pronta a ricevere proposte di studi sull’utilizzo di farmaci anticoagulanti anche per questa patologia del Coronavirus, che ovviamente devono essere regolati e controllati. Al momento è un’ipotesi, plausibile, che però come tutte le ipotesi in medicina, richiede una prova».