Negli ultimi anni, dal 2014 quando è stato arrestato in Crimea dai servizi segreti russi con l’accusa di terrorismo, il volto di Oleg Sentsov appariva in ogni grande festival internazionale tra quelli di altri registi – uno su tutti Jafar Panahi – detenuti arbitrariamente per ragioni politiche. Sentsov nel momento dell’arresto era sul set del suo secondo film, mai finito, Rhiino, la Crimea dove è nato era stata annessa alla Russia – con un referendum popolare passato a schiacciante maggioranza – e lui, filmmaker, artista, regista teatrale, era tra gli attivisti più in vista nel movimento di opposizione ai russi. Il processo, molto opaco, è iniziato l’anno dopo e si è concluso con una condanna a vent’anni di carcere, in sostegno di Sentsov si sono mobilitati con interventi e lettere aperte altri registi, come Loach, Almodovar, Bela Tarr, Godard, i Dardenne, intellettuali come Zizek, mentre Sentsov, a cui era stata imposta la cittadinanza russa – che mai ha riconosciuto – era rinchiuso in una colonia penale in Siberia, dove nel maggio del 2018 ha iniziato uno sciopero della fame per chiedere la liberazione di altri 70 prigionieri ucraini detenuti con lui, andato avanti fino al 6 ottobre, e sospeso di fronte alla minaccia di esser sottoposto a alimentazione forzata. Poi, il 7 settembre del 2019, la liberazione nell’ambito di uno scambio di prigionieri tra russi e ucraini.

LA SUA PRESENZA «dal vivo» l’altra sera, al Maksim Gorki, era perciò molto attesa, con il teatro berlinese sold out da diversi giorni per la «prima» del suo nuovo film, Numbers, tra le iniziative della Berlinale per i 70 anni volute dalla nuova direzione con lo scopo di coinvolgere ancora di più la città e i suoi luoghi nel festival.
Emozionato Sentsov era finalmente lì, insieme ai suoi attori, al coregista del film, Akhtem Seitablaiev, al pubblico per condividere l’esperienza che è stata girare un film dal carcere di massima sicurezza – come grida lui stesso nelle prime sequenze – con centinaia di lettere in cui si discuteva ogni dettaglio, la scelta degli attori, il set design, lo stile della recitazione, la messinscena. L’idea di trasformare in un film la piéce che aveva scritto nel 2011 è stata dei suoi amici, sono loro che hanno trovato un produttore – coproduce la Polonia, la fotografia è di Adam Sikora (Essential Killing di Skolimovski), il montaggio di Jaroslaw Kaminski (Ida, Cold War) – che hanno iniziato a lavorare nell’attesa – o nella speranza – del suo rilascio. Ma nulla accadeva e così lo stesso Sentsov ha chiesto al suo amico Seitablaiev, un regista ucraino, di aiutarli. «Insieme abbiamo deciso ogni dettaglio, però le riprese si sono svolte senza di me» spiega.

MA DI COSA PARLA Numbers – nel programma di Berlinale Special? Del potere e dell’animo umano, di come l’ambizione e la pratica del primo modifichino radicalmente il secondo, quasi che nessun uomo ne sia indenne.
Sul palcoscenico scarno di un teatro che somiglia a un lager si muovono uomini e donne senza nome: la loro identità è un numero, da uno a dieci, è questo che stabilisce le loro relazioni in coppia e rispetto agli altri. A scandire le loro esistenze sono le regole applicate ogni giorno dal numero 1 con l’osservanza della tradizione imposta da coloro che ha in mano le loro vite, una divinità, un sovrano assoluto, lo Zero, di cui non conoscono l’aspetto né dove sia ma al quale devono obbedire pena terribili punizioni. Eccoli dunque alzarsi, disporsi in sequenza davanti a un tavolo da ping pong, mangiare correndo, bere correndo, poi la notte dividersi uomini e donne separati da una rete la stessa che gli impedisce l’orizzonte secondo uno schema che non cambia mai.

Un giorno però a scompigliare l’accoppiamento pari di questo «Grande fratello» distopico appare dal nulla un bimbo, il numero 11, che spaiato disobbedisce, vuole essere primo due volte, si proclama il figlio di Zero. E lui, invece, il capo supremo chi è? Somiglia – ma a vederlo siamo solo noi spettatori – a un capocomico che dall’alto li stupisce con effetti speciali rozzi, con un auricolare comanda i militari, uccide. Poi accade che qualcosa si rompe sempre di più, i numeri si rivoltano, rivendicano un nome, una libertà, la nuova guida – maschio le donne sono qui piuttosto ancelle – è il 7, un moderato capace di improvvisi (e spudorati) cambi di rotta, un abile stratega si direbbe che dietro l’apparente codardia si rivela capace di comando. Zero cade come una statua di Ceausescu – o di Stalin – e poi? Sarà il mondo ideale che speravano o una nuova e più feroce dittatura?

VEDERE nell’allegoria un riferimento a Putin e ala Russia e a quanto ha vissuto l’autore è quasi scontato, anche se, come spiega Sentsov, la storia del film può accadere ovunque. «Credo che sia una tragedia universale, la Russia non è l’unico paese totalitario al mondo, la situazione del personaggi di Numbers è comune a molti altri nel nostro tempo». Anche perché la pièce a cui è ispirato Sentsov l’ha scritta appunto molto tempo prima del suo arresto, di Maidan, della Crimea, del conflitto tra Russia e Ucraina. L’idea l’aveva avuto guardando un programma televisivo di biathlon – «La mia ex moglie lo adorava, ho pensato che la storia potesse svolgersi in quel contesto». «Visto che si tratta di una situazione totalmente assurda ho impiegato molto tempo a trovare una chiave per affrontarla ma quando l’idea mi è venuta ho finito di scriverla in pochi giorni».

DELL’ORIGINE teatrale il film mantiene l’impianto – e questo è un po’ il suo limite: siamo davanti a una messinscena seppure filmata in cui però, non ci si interroga sul passaggio all’immagine e sulle sue modalità, ma è anche vero che questo è un caso in cui vale più il contesto e l’urgenza del resto. «Partecipare a un festival come la Berlinale mi dà la possibilità di parlare con altri registi, di condividere quanto ho vissuto e quanto accade in Russia. Nessuno mi metterà più a tacere, e quando incontro i politici europei discuto della situazione dei prigionieri ucraini ma anche di quelli russi. So bene quale è la situazione in quelle carceri»: