Mentre scriviamo l’accordo politico preliminare sul nucleare iraniano c’è. Prevede alcuni punti generali d’intesa e una prima restrizione delle sanzioni internazionali contro l’Iran.
Sarebbe necessario però attendere la scadenza finale del 30 giugno perché si chiariscano i nodi tecnici che impediscono una piena soluzione della controversia che va avanti da oltre dieci anni. In realtà un accordo politico tra Iran e paesi del Consiglio di Sicurezza con la Germania (P5+1) c’è già stato sin dall’inizio dei colloqui dopo l’elezione del presidente moderato Hassan Rohani nel giugno del 2013.

In altre parole sin dal novembre di quell’anno gli Stati uniti hanno riconosciuto il diritto dell’Iran a proseguire con i suoi programmi nucleari esclusivamente a scopo civile. A bloccare la soluzione della crisi sono Stati uniti e Unione europea che, nonostante le pressanti ispezioni dell’Agenzia per l’Energia atomica che hanno certificato la veridicità delle dichiarazioni iraniane e la riduzione graduale delle riserve di uranio arricchito al 5%, non hanno proceduto con l’alleggerimento delle sanzioni, come previsto.

In alcuni casi sono state addirittura approvate sanzioni ulteriori dal Congresso Usa per compagnie e banche che fanno affari con l’Iran. Un segno positivo è stato il rientro a Losanna del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov che ha parlato di «buone chances» che si realizzi l’intesa. Le autorità iraniane temono che ancora una volta le sanzioni non vengano cancellate, anche in seguito alla lettera di 47 senatori che hanno assicurato alla già riluttante guida suprema iraniana Ali Khamenei, che in questa fase ha comunque benedetto il carismatico negoziatore iraniano Javad Zarif, che anche se il presidente Barack Obama firmasse l’intesa, non sarà applicata dalle Camere. Tehran ha poi negato la volontà di voler trasferire le centrifughe in Russia per la conversione in barre di combustibile. È sulla destinazione delle riserve nucleari iraniani che si continua a discutere in queste ore. Al centro dei colloqui ci sono tre figure chiave. Il primo è William Burns. È suo il merito di aver promosso l’inedita soft-diplomacy tra Washington e Tehran, promuovendo gli incontri bilaterali da mesi in corso in Oman.

Anche Ali Akbar Salehi, ex direttore dell’Organizzazione per l’Energia Atomica, e il Segretario di Stato Usa per l’energia, Ernest Moniz, hanno lavorato alacremente per la firma dell’intesa. Anche il cancelliere tedesco Angela Merkel ha espresso la sua volontà perché si arrivi ad un accordo nei tempi stabiliti, mentre più duro nella definizione dei termini perché l’Iran mai possa trasformare il suo programma civile in militare è il presidente francese François Hollande.

L’accordo in discussione «aprirà la strada a un Iran dotato dell’arma nucleare», ha tuonato il premier israeliano Benjamin Netanyahu che, intervenendo al Congresso, lo scorso febbraio aveva scompaginato le carte e messo in allerta la leadership iraniana sulle reali intenzioni dei Repubblicani Usa. Invece, sul fronte yemenita, per mettere le mani avanti, ieri Tehran ha smentito di aver mai fornito armi ai ribelli Houthi. Il ministero degli Esteri ha parlato di prove «fabbricate». A preoccupare l’Iran è invece l’intervento militare guidato dall’Arabia Saudita che ha chiesto la fine immediata delle operazioni. La sigla dell’intesa potrebbe servire a risolvere le principali crisi regionali dalla Siria all’Iraq.

La questione del nucleare iraniano si è aperta nel 2003, quando il Consiglio nazionale della Resistenza dell’Iran ha denunciato la presenza di siti non segnalati all’Agenzia per l’energia atomica (Aiea) e lo sviluppo di programmi di arricchimento dell’uranio nelle centrali di Natanz, Arak e Saghand. Nel giugno del 2003, sono arrivate le prime ispezioni dell’Aiea nella centrale di Natanz. È stata riscontrata la presenza di uranio arricchito. La questione non è stata subito demandata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, il che avrebbe comportato sanzioni economiche per l’Iran. Già nell’ottobre del 2003, i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Gran Bretagna si sono recati a Tehran per tentare di risolvere il contenzioso. Le autorità iraniane si dissero impegnate in progetti per l’uso civile delle tecnologie nucleari, pronte a sospendere l’arricchimento dell’uranio e a collaborare con l’Aiea.

L’insistenza della posizione iraniana ha chiarito per anni l’uso sostanzialmente propagandistico che la leadership rivoluzionaria voleva conferire al tema nucleare. Tuttavia, la necessità di proseguire nelle attività di arricchimento veniva affermata dall’intero spettro politico, gli unici distinguo tra riformisti e conservatori hanno riguardato lo sforzo necessario per l’alleggerimento delle sanzioni internazionali che hanno colpito principalmente la popolazione locale.