Tiri incrociati sulle centrali nucleari francesi, mentre il mondo ricorda la catastrofe di Fukushima, 5 anni fa, dove il reattore n.3 funzionava con il Mox, prodotto Areva. La Germania ha chiesto ufficialmente alla Francia di chiudere la centrale di Fessenheim in Alsazia, la più vecchia del paese, in funzione dal ’77. Berlino accusa Parigi di aver minimizzato un recente incidente. Contemporaneamente, la Svizzera ha sporto denuncia contro la centrale del Bugey, che è a 70 km da Ginevra, per “messa in pericolo della vita altrui e inquinamento delle acque”. La città di Ginevra ha preso come avvocata l’ex ministra dell’ecologia del governo Juppé, Corinne Lepage. A queste proteste si è aggiunto il Lussemburgo, che a sua volta reclama la chiusura della centrale di Cattenom in Mosella, che non rispetterebbe le norme di sicurezza stabilite dopo Fukushima.

Queste reazioni europee fanno seguito a una presa di posizione della ministra dell’Ecologia, Ségolène Royal, che ha evocato la possibilità di allungare la vita delle centrali francesi di altri dieci anni, portandola a 50 anni (gli Usa l’hanno estesa a 60 anni e paesi come la Svezia o l’Olanda stanno riflettendo a una decisione analoga). A decidere non sarà il governo ma l’Autorità della sicurezza nucleare (Asn), che ha già messo le mani avanti: le centrali francesi “sono tutte controllate regolarmente ogni dieci anni con test draconiani”.

La Francia è un caso unico in Europa per la scelta del “tutto nucleare” che avrebbe dovuto assicurare l’indipendenza energetica: sono attivi 58 reattori, in 19 centrali, che forniscono i tre quarti dell’energia elettrica consumata nel paese. La Francia, come la Gran Bretagna, non ha nessuna intenzione di rinunciare la nucleare – alla Cop21 di Parigi, il nucleare non è stato in discussione – l’Europa è spaccata anche su questo, dopo la decisione tedesca di uscire da questo tipo di energia. François Hollande in campagna elettorale aveva promesso una riduzione di questa percentuale al 50% entro il 2025 e si era impegnato a chiudere Fessenheim durante il suo mandato. Adesso, la neo-ministra della Casa, la verde Emmanuelle Cosse, afferma che questa promessa verrà rispettata, ma il ministro dell’Economia, Emmanuel Macron ha smentito. Hollande spera di cavarsela con una piroetta: avviare la chiusura senza completarla prima delle presidenziali del 2017 e giocare sul rapporto tra produzione di energia nucleare e consumi per evitare di chiudere tra 17 e 20 reattori, cioè il numero che la Corte dei conti considera necessario per rispettare gli impegni della riduzione al 50% del peso del nucleare nella produzione di energia elettrica. L’equazione si complica con il cantiere dell’Epr – il reattore di ultima generazione – in costruzione a Flamanville, che accumula ritardi, errori e aumento dei costi previsti.

Il problema è che la Francia non ha più i mezzi per far fronte all’ambizione nucleare tradizionale. Areva, il gigante del nucleare, controllato all’86,5% dallo stato, è stato costretto a cedere a Edf (l’ex monopolio pubblico dell’elettricità, all’84,4% in mano pubblica) l’attività di costruzione di reattori (per 2,5 miliardi) per concentrarsi sul ciclo del combustibile (estrazione, arricchimento dell’uranio, trattamento delle scorie, smantellamento delle vecchie centrali). Areva ha tagliato il personale, da 42mila a 20mila dipendenti nel mondo. Ma questo ridimensionamento non è stato sufficiente per rimettere in sesto l’impresa, che affonda nei debiti (6 miliardi, a cui vanno aggiunti altri 8 miliardi di perdite negli ultimi 5 anni). Tra l’altro, resta l’incubo dell’Epr da anni in costruzione in Finlandia, con costi esponenziali. Ma Edf, che ha sopraffatto Areva, è anch’esso in difficoltà. La scorsa settimana si è dimesso il direttore finanziario, preoccupato per l’esposizione finanziaria di Edf nella costruzione di due reattori in Gran Bretagna (il costo stimato è di 24,5 miliardi, solo un terzo a carico del partner cinese China General Nuclear). Su Edf pesa la prospettiva della necessaria modernizzazione dei 58 reattori esistenti (56, se chiudono due a Fessenheim): un costo stimato ad almeno 50-55 miliardi di euro entro il 2025, 100 miliardi entro il 2030.