Impermeabile alle lusinghe della narrazione, disinteressato al confronto con l’oggettività (anche se plurale) del testo documentario, il cinema dell’indipendente Cyprien Nozieres («Vaucluse»,1982) si muove concettualmente come estesa campitura visiva nei cui bordi racchiudere l’imprevedibile e immaginifico svolgersi del fenomeno naturale, stabilendo un legame immaginario con la ricchezza del creato a partire da una semplice contemplazione, una passeggiata, elementi da far interagire all’interno del processo creativo con gli strumenti dell’animazione, della sperimentazione sonora o del bricolage applicato. La voie lactèe (2020), il siderale percorso che dalla notte dei tempi è nello sguardo di chi si interroga sul mistero dell’universo subisce in parallelo il processo di trasformazione che il vivente ha riservato alla natura, aggredendola, mutandola, sfruttandola come prodotto, tanto da ridurla in… formaggio, come i dieci corti della serie creata dal filmaker rappresentano: Roquefort, Mozzarella, Camembert, Morbier e così via, incolpevoli espressioni del gusto chiamate a sostenere l’asimmetrico conflitto tra la modernità e la natura. Il lavoro di Nozières è presentato dalla parigina Re:Voir (www.re-voir.com). Prendendo spunto da una leggenda della popolazione Sami, gruppo etnico prevalentemente stanziato in Lapponia, «Il bianco pastore di renne» (o La renna bianca, in originale «Valkoinen peura», 1952) è il primo lungometraggio del finlandese Erik Blomberg (1913-1996).

Pirita (Mirjami Kuosmanen, compagna del regista nonché sceneggiatrice) disperde la propria giovinezza e vitalità nel segno crudele di un destino che la vuole vittima di una maledizione, condannata a trasformarsi nella singolare versione di una creatura vampira, una candida ma feroce renna assetata del sangue degli uomini, alla cieca ricerca – nella vastità del paesaggio innevato – di qualcosa che possa liberarla dal malefico sortilegio. Privo di effetti speciali, arricchito da musiche stravinskiane (di Einar Englund), immerso nel folklore ma capace di improvvise vertigini visive (a cominciare dagli sguardi delle renne in corsa), il capolavoro di Blomberg incrocia il suo percorso onirico con quello del classico «Cat People» (1942) di Jacques Tourneur, sostituendo alla forza suggestiva del nero la luce abbacinante e le notti bianche a perdita d’occhio, sature di neve. Premiato a Cannes da Jean Cocteau, raccoglie oggi il giusto riconoscimento con un combo Blu-ray/DVD (Le Renne Blanc) grazie a Tamasa (www.tamasa-cinema.com). La portoghese Leonor Teles nasce a Vila Franca de Xira nel 1992, da padre di origini gitane. È già con Rhoma Acans, cortometraggio del 2012, che manifesta la necessità di fare i conti con il proprio passato e le radici familiari, la nozione di «rispetto» insita nella sua cultura di riferimento opposta all’esigenza di riscatto ed evoluzione dell’identità femminile. Con «Balada de um Batraquio» a conquista nel 2016 l’Orso d’oro a Berlino come miglior corto: l’allegoria della rana come animale sgradevole utilizzato (secondo un’antica tradizione) per difendersi simbolicamente dall’altro da sé suggerisce alla regista/protagonista un intervento agit/prop contro ostracismo, superstizione ed esclusione sociale. Insieme al più recente «Terra Franca» (ritratto di una comunità di pescatori sul fiume Tago, e suo primo lungo) i documentari di Teles sono riuniti in un dvd edito da Midas (midas-filmes.pt).