C’è anche Zakaria Zubeidi tra i prigionieri politici palestinesi in sciopero della fame nelle carceri israeliane. L’ex comandante a Jenin delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa (Fatah), protesta per l’isolamento totale in cui viene tenuto da quando, il mese scorso, è stato catturato dalla polizia israeliana dopo essere evaso, assieme ad altri cinque detenuti, dal carcere di massima sicurezza di Gilboa.

Ma a far notizia in queste ore, con un inevitabile aumento della tensione tra i prigionieri politici e le loro famiglie, è il digiuno che portano avanti da settimane otto detenuti palestinesi: Kayed Fasfous, Muqdad Qawasmeh, Alaa Aaraj, Hesham Abu Hawwash, Rayeq Besharat, Shadi Abu Akr, Akram Abu Bakr e Ratib Haribat. Sei di questi protestano perché sono detenuti in modo «amministrativo», ossia senza aver un processo ed essere stati accusati di reati specifici. Si tratta di una forma di custodia cautelare a tempo indeterminato – può durare alcuni mesi o essere rinnovata di volta in volta – che risale al periodo del Mandato britannico sulla Palestina e che Israele ha assorbito nel suo ordinamento giuridico. Sulla carta può essere applicata anche nei confronti di cittadini ebrei ma in 73 anni questo è accaduto in casi rari. Le corti militari ne fanno un uso abbondante con i palestinesi. Il Centro Addameer calcola in circa 500 su 4600 detenuti politici (di cui 200 minori) i palestinesi attualmente in carcere senza processo.

Gli altri due prigionieri non toccano cibo per protestare contro le misure più severe attuate dalle autorità carcerarie dopo la «Grande fuga» da Gilboa. Le condizioni di Fasfous e Qawasmeh, che riferiscono le associazioni a difesa dei detenuti politici digiunano rispettivamente da 88 e 81 giorni, si sono fatte critiche e sono stati ricoverati nell’ospedale Kaplan. Nei giorni scorsi il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) aveva fatto sapere di essere «seriamente preoccupato» per il deterioramento della salute dei due prigionieri avvertendo sulle «conseguenze potenzialmente irreversibili» di uno sciopero della fame così lungo. Sta male anche Aaraj, giunto al 64esimo giorno di sciopero della fame. La protesta dei nove prigionieri ha mobilitato gli altri detenuti che in questi giorni hanno spesso restituito i pasti e si sono rifiutati di rispettare gli ordini delle guardie carcerarie.

Intanto stasera a sostegno di un palestinese, Issam Hijjawi Bassalat, detenuto per motivi politici non in Israele ma in Irlanda del nord, è previsto un twitterstorm (#freeisamhijjawi) alla vigilia dell’udienza in cui i giudici della Dungannon Courthouse dovranno decidere la sua possibile scarcerazione su cauzione, richiesta respinta già due volte in passato. Hijjawi Bassalat, incarcerato da più di un anno nel carcere di massima sicurezza di Maghaberry, è un medico che dal 1995 vive e lavora in Scozia. Gli attivisti scozzesi e irlandesi sostengono sia stato attirato in una trappola da un infiltrato dell’MI5 che lo ha invitato a parlare a un incontro sulla questione palestinese con i membri di Saoradh, partito socialista che chiede la riunificazione dell’Irlanda del nord all’Irlanda e che le autorità britanniche descrivono come una espressione dell’Ira. Incontro seguito dal suo arresto il 22 agosto 2020 all’aeroporto di Heathrow e di quello di nove membri di Saoradh. L’accusa è di «organizzazione di atti di terrorismo» che Hijjawi Bassalat respinge categoricamente ricordando di aver sempre svolto da quando è in Scozia solo attività di sostegno politico alla causa palestinese.