Su una squadra di venti persone, compreso il presidente del consiglio Giuseppe Conte, nove ministri sono riconducibili al Movimento 5 Stelle che fa il suo debutto nei palazzi di governo. Luigi Di Maio è vicepresidente del consiglio assieme a Matteo Salvini e ministro del lavoro. Da questa poltrona dovrà gestire la difficile partita del reddito di cittadinanza, sussidio di due anni vincolato all’accettazione di offerte di lavoro e legato alla complicatissima partita della riforma dei centri per l’impiego. L’impresa è resa ancora più ardua dalle riserve espresse in tempi non sospetti dal designato ministro dell’economia, Giovanni Tria, che al contrario si era detto entusiasta della flat tax.

Il capo politico grillino ha scelto di piazzare nei ministeri toccati ai 5 Stelle alcuni fedelissimi oppure dei «tecnici» che già avevano accettato di far parte della squadra del governo a 5 Stelle presentata a tre giorni dalle elezioni e che si erano candidati nelle liste grilline. Nel governo ci sono poi i due pretoriani, che per mesi hanno fatto da cordone di sicurezza amministrativo attorno alla sindaca di Roma Virginia Raggi e che si sono sempre mossi accanto a Di Maio: Alfonso Bonafede dovrebbe andare al ministero della giustizia e a Riccardo Fraccaro toccano i rapporti col parlamento e (accezione inedita omaggio a Gianroberto Casaleggio) la «democrazia diretta». A sorpresa, nella lista di Giuseppe Conte entra Barbara Lezzi. Poco prima delle elezioni aveva rischiato grosso per la storia delle restituzioni mai effettuate. Chiese scusa, si cosparse il capo di cenere e venne riabilitata a stretto giro di blog. Prima ancora, appena eletta nel 2013, aveva assunto come assistente parlamentare la figlia del suo compagno. Adesso le viene affidata la delega al Sud, ministero concepito dopo le polemiche sull’assenza della questione meridionale nel contratto di governo. Qualcuno ricorderà maliziosamente la sua congettura sul Pil che salirebbe grazie al gran caldo e il ricorso ai condizionatori. All’attuale capogruppo alla camera, il medico legale Giulia Grillo va il ministero della sanità. Grillo viene dalle origini del grillismo siculo ed è specializzata in bioetica e valutazioni del danno alla persona. Ha definito l’obbligo vaccinale «giusta misura in caso di aumento contagi o crollo delle coperture» e promesso maggiori controlli sugli accreditamenti della sanità privata per il servizio pubblico: se questa seconda proposta dovesse passare, le regioni del nord amministrate dalla Lega dovrebbero cambiare qualcosa delle loro politiche sanitarie. Anche infrastrutture e trasporti, dicastero chiave per una questione simbolica e concretissima come la Tav, finiscono ad un fedelissimo: si tratta di Danilo Toninelli, che dopo le polemiche degli ultimi giorni prende il posto della piemontese Laura Castelli e di Mauro Coltorti, il geologo esperto di tutela del territorio che era stato presentato nella squadra del fanta-governo prima del voto.

Dalla compagine del governo ombra elettorale vengono pescati alcuni nomi. Alla difesa finisce sotto le insegne pentastellate Elisabetta Trenta. È stata political advisor del ministero degli esteri oltre che ufficiale della riserva selezionata dell’esercito. Trenta è sposata con un militare alto in grado che lavora nell’organismo che gestisce i contratti delle forze armate (qualcuno già parla di conflitto di interessi). Insegna alla Link University, ateneo privato con origini a Malta e partecipazioni Cepu. Ha un fratello che il 10 giugno prossimo potrebbe diventare sindaco di Velletri, ovviamente col simbolo M5S. Lei, però, viene dal centrodestra: sempre a Velletri è stata consigliera comunale per il Ccd. All’ambiente invece fa Sergio Costa, il generale dei carabinieri che si è occupato della Terra dei fuochi .

La delegazione grillina arriva dopo giorni di caos che hanno creato tensione nel rapporto tra vertici e i nutritissimi gruppi parlamentari. L’altro ieri notte, nel corso della assemblea congiunta nella quale Di Maio aveva allo stesso tempo preso le distanze dalla Lega e annunciato la riapertura dei giochi per Palazzo Chigi, erano piovute critiche su partecipazione e trasparenza. Il capo aveva dovuto abbozzare: «Siamo tanti, è difficile fare assemblee per decidere, comunque cercherò di trovare metodi alternativi». Ora si rimetteranno in moto i due rami del parlamento e si nomineranno le commissioni. Anche da qui, da eletti che ancora non hanno avuto modo di prendere parola, dipende la scommessa del governo giallo-verde.