Saranno novanta le città a scendere in piazza stamattina contro la riforma della scuola targata Renzi-Giannini. Studenti, docenti precari, sindacati, movimenti sociali impegnati nella costruzione dello sciopero sociale del 14 novembre, tutti insieme nella prima manifestazione di massa contro il governo nato da una lotta fraticida dentro il Pd, il partito al centro di tutte le polemiche dopo la fiducia in bianco alla legge delega sul Jobs Act al Senato.

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Dopo giorni di intensa mobilitazione negli istituti, e di approfondite analisi consultabili anche in rete, tutte le organizzazioni studentesche hanno compreso il rapporto speculare tra la «Buona scuola» del ministro dell’Istruzione Giannini e il Jobs Act del ministro del lavoro Poletti. La «Buona scuola» prevede la gestione manageriale degli istituti, affidata a un preside plenitopotenziario che dirigerà una struttura gerarchica dove i 148 mila precari assunti solo dalle graduatorie ad esaurimento verranno gestiti con le modalità del «lavoro a chiamata» percependo un aumento di stipendio in media ogni sei anni.

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Gli «scatti di competenza» riguarderanno solo il 66% dei docenti. Secondo alcune stime perderanno fino a 75 euro al mese. Gli studenti criticano anche la vocazione «professionalizzante» del «modello tedesco», quello dell'”alternanza scuola-lavoro”, che il governo vuole introdurre negli istituti tecnici e professionali a discapito dei saperi critici capaci di garantire un’autonomia perlomeno di pensiero sul mercato del lavoro.

Il Jobs Act sembra invece raccogliere i frutti di questa semina malefica imponendo a tutti i neo-assunti il fantomatico «contratto a tutele crescenti». Per gli studenti questa espressione allude ad una forma di precarietà garantita per almeno tre anni, durante i quali l’impresa sarà libera di licenziarli in ogni momento. Alle loro analisi non è sfuggita l’aberrazione di questa visione: tanto più a lungo il soggetto lavorerà, tante più tutele riceverà in cambio. Ma se potrà essere licenziato su due piedi, in cambio di un’indennità commisurata al periodo di lavoro, su quali tutele potrà contare?

Forte è il timore di una precarizzazione definitiva. Lo si è notato ieri a Palazzo Chigi dove la rete degli studenti medi ha fatto un blitz esponendo lo striscione: «Jobs Act non me lo posso permettere». «Il governo ha approvato una riforma che non sostiene i giovani nel percorso formativo, ma ne precarizza ulteriormente il lavoro» ha detto Gianluca Scuccimarra, coordinatore nazionale dell’Udu. «La nostra condizione sociale non può essere usata come uno slogan mediatico dal Premier» ha aggiunto Alberto Irone, portavoce della Rete degli studenti medi. «La Buona scuola apre le porte agli interessi e ai finanziamenti delle imprese – sostiene Danilo Lampis, coordinatore dell’Unione degli Studenti – valuta e punisce studenti e docenti, assume la competizione e le classifiche premiali come unico fine». Gli studenti rivendicano una legge sul diritto allo studio, massicci interventi per il welfare universalistico e il reddito minimo, elementi assenti nel Jobs Act.

Al loro fianco oggi ci saranno i coordinamenti dei docenti precari e i Cobas che hanno dichiarato lo sciopero generale. «Rifiutiamo i grotteschi scatti di merito e chiediamo il mantenimento di quelli di anzianità» afferma il portavoce Piero Bernocchi. In piazza ci sarà anche la Flc-Cgil che, tra l’altro, denuncia l’esclusione dalle assunzioni degli abilitati Tfa e Pas e degli altri precari. A difesa della scuola pubblica, e laica, sfileranno Rifondazione, l’Arci Gay e il coordinamento «per la scuola della costituzione», una rete associativa che si oppone al «disegno autoritario» contenuto nella riforma costituzionale, oltre che in quelle del lavoro e della scuola. La mobilitazione proseguirà in rete. Oggi farà il suo esordio lo «sciopero digitale». L’hashtag #followthestrike s’intreccierà con #10o, #entrainscena #nonservi e #lagrandebellezzasiamonoi. #IoNonCiSto è l’hashtag della rete StudAut che parteciperà allo «sciopero sociale» del 16 ottobre.